I tempi si allungano, la sentenza slitta, il silenzio s’infittisce. I berlusconiani in ambasce tacciono, o parlano solo per ripetere, come duettano Brunetta e Mariatella, che la sola alternativa a Berlusconi è Berlusconi. Ma il clima è cambiato. Per la prima volta nell’esercito di Arcore spira un vento sia pur timidamente ottimista. Tutto merito di quella richiesta di riduzione dell’interdizione da cinque a tre anni avanzata in chiusura di requisitoria dal pg Mura, che non si è limitata ad alleggerire il carico sulle spalle dell’imputato eccellentissimo ma ha soprattutto aperto una insperata breccia.

Sino a un attimo prima le possibilità si riducevano a una tripla secca, la casistica adesso è più folta. L’eventualità più gettonata è che la Cassazione confermi la condanna a quattro anni ma, invece di ridurre in prima persona l’interdizione, rinvii in appello il solo computo della pena. Una boccata d’ossigeno provvidenziale, per Berlusconi ma anche per il governo.

Seconda ipotesi rosea: la Cassazione, sulla scorta dell’ammissione del pg in merito al computo errato dell’interdizione, potrebbe abbassarla ulteriormente e portarla a 2 anni se non a 18 mesi. A quel punto Berlusconi potrebbe ricandidarsi anche qualora le elezioni si svolgessero nel 2015 e per il Pdl sarebbe tutta discesa. Restano infine le due ipotesi favorevoli sul tavolo sin dal primo momento: l’assoluzione, che spazzerebbe via non solo il processo Mediaset ma di fatto tutti quelli in cui il Cavaliere è coinvolto, oppure il rinvio complessivo in appello, che garantirebbe la prescrizione e stabilizzerebbe più che mai il governo.

Ovvio che, con tante opzioni più o meno vincenti squadernate davanti, gran capo e alti gerarchi tutto vogliano tranne che esasperare il clima della vigilia e imbufalire gli ermellini. Così quando Daniela Santanché, col solito Tweet convoca i fedeli di fronte a palazzo Grazioli per le 17 di oggi e l’«esercito di Silvio» annuncia apposita esercitazione, stessa strada, stessa ora, è addirittura il capofalco Verdini a smentire e sconvocare: «Da giorni, e anche oggi, ci siamo assunti la responsabilità di fermare tutti. Nulla deve avvenire in un momento tanto delicato per il Paese. Pertanto la notizia della manifestazione è destituita di fondamento».
Le intemperanze vanno frenate perché ci manca solo che i soldatini di Silvio turbino la rilessiva quiete della Cote nel momento topico. Ma anche perché, se è vero per Berlusconi le soluzioni positive potrebbero essere molte, altrettanto non può dirsi per il Pd.

In fondo la differenza tra i due palleati di governo è ovvia: per il Pdl il problema principale è l’interdizione del suo capo, per il Pd, invece, è la condanna penale. Ci vadano i pasdaran del governicchio a spiegare che per il bene del Paese e per volere di re Giorgio bisogna restare abbracciati a un condannato per maxi evasione fiscale,uno che comunque dovrà ringraziare le troppe volte vituperate misure alternative alla detenzione. Solo nel caso di assoluzione o di rinvio pieno in appello il Pd potrà proseguire senza sbandamenti gravi nell’alleanza con l’ancora non condannato. In caso contrario esploderebbe a breve la tensione tra i governisti e quelli che, renziani in testa e sondaggi alla mano, di quest’alleanza non vedono l’ora di sbarazzarsene.

Questione di mesi, non di giorni, però la slavina partirebbe subito. Di qui all’autunno travolgerebbe ogni ostacolo. Per resistere, l’ala governista del Pd ha una sola carta: se gli alleati dimostrassero un impeccabile senso delle istituzioni, ogni manifestazione imputabile di eversione, se addirittura affermassero di rispettare, pur considerandola ingiusta la sentenza, allora si potrebbe restare in società persino con il condannato. Ma se il Pd è diviso, il Pdl non è da meno. Anche da quelle parti mezzo esercito non vede l’ora di rompere la tregua, e l’idea di fornire ai nemici-alleati l’alibi per rompere certo non turba. i duri. Ieri frenarli è stato facile, da questo pomeriggio, salvo ferreo diktat del capo, sarà impossibile.