È l’ennesimo flop sulla Corte costituzionale. Il sedicesimo. Il terzo ticket partorito dal Nazareno fa la fine degli altri due: colpito a morte dalle assenze, dalle schede bianche, dai franchi tiratori. Ad affossare l’ex avvocato dello Stato Ignazio Caramazza, e con lui per l’ennesima volta Luciano Violante, è la guerra interna a Fi, mai così vicina allo scontro aperto. Tanto che in aula gli azzurri arrivano a un millimetro dallo scontro fisico. Alla fine Violante non supera i 511 voti, meno che nell’ultima votazione. Per farcela gliene mancano una sessantina: un’enormità. Caramazza sta messo molto peggio: non supera quota 450 e le defezioni sono quasi tutte azzurre. Un risultato che equivale a una sentenza senza appello. Di qui al diciassettesimo round, martedì, ore 13, Berlusconi dovrà inventarsi un nuovo ronzino da appaiare all’eterno Violante, che va avanti come se nulla fosse. L’uomo è fatto così, e se qualcuno trova che stia facendo una figura niente dignitosa, affari suoi.

Venti gli assenti nelle file di Fi, più o meno quanto quelli del Pd. Ma sono azzurre molte delle 144 schede bianche e tutte le 66 che supportano Donato Bruno nonostante il suo ritiro. «Perché dobbiamo mettere un tecnico quando il Pd schiera Violante?», è la spiegazione che risuona più spesso. E certo c’è anche questo, per molti ribelli, anzi, si tratta della sola motivazione. Ma per molti altri non è così. Per molti colpire il malcapitato Caramazza è solo un modo per sparare sul patto del Nazareno e dimostrare all’ex sovrano assoluto che la musica è cambiata e la sua parola non è più legge.

Lui, Silvio l’ex onnipotente, sa bene di essere il vero bersaglio della guerriglia. Per parare il colpo non trova di meglio che lavarsene le mani: «Io non ho mai fatto il nome di nessun candidato». Però, quando alle 13 si riunisce l’ufficio di presidenza, si abbandona a una scenata tale da turbare persino alcuni dei fedelissimi, che in privato si dichiarano più o meno disgustati. Prende di mira Raffaele Fitto, punto di riferimento principale dei frondisti di Arcore. In discussione c’è un documento che conferma la linea del capo: collaborazione con Renzi sulle riforme, opposizione su tutto il resto. In teoria è una posizione unanime. In concreto non lo è affatto, perché è evidente che l’opposizione promessa sarà dura solo nelle dichiarazioni ufficiali e morbida, anzi moscia, in tutto il resto. Peraltro tutto il discorso di Berlusconi, fatte salve le promesse di rito sull’opposizione in materia d’economia e immigrazione, è un panegirico del patto del Nazareno, una conferma della necessità di collaborare con l’«erede» di stanza a palazzo Chigi, pena riforme, quella elettorale in primo luogo, molto più penalizzanti per Fi. Magari approvate con l’appoggio di Grillo.
È l’eterna tesi di Verdini, ripresa senza modificare una virgola.

Berlusconi chiede di votare subito, ancora prima di discutere. Si oppongono solo Fitto e Capezzone: se nel Pd il coraggio è merce rara dentro Fi stanno messi anche peggio. Solo due voti contrari, ma Berlusconi sa perfettamente che quei due striminziti no equivalgono a un clima di guerriglia perenne in Parlamento. Lo sa e quando Fitto ripete le sue critiche perde le staffe, come mai prima. Si scaglia contro il pugliese con durezza inaudita. Lo interrompe. Si alza persino, e gli muove contro: «Sei tu che ci fai perdere consensi, tu che vai in tv e danneggi il partito, tu figlio di un democristiano, sei come Fini e quelli dell’Ncd. Ti devi allineare, smettere di parlare contro il partito in pubblico. Oppure vattene con i tuoi 300mila voti». Fino alla minaccia aperta: «Se continui ti deferisco ai probiviri». Che fa, lo caccia?

Più tardi, accortosi del disastro d’immagine, il signore d’Arcore tenterà di rimediare: «Sono stato franco ma non volevo offendere. Parlavo come un padre a un figlio». La scenata, peraltro, non ha risolto nulla. Fitto riunisce i suoi, si dice «amareggiato», ma a togliere il disturbo non ci pensa per niente. E quando incrocia il nemico Verdini, scortato da sempre più anonimo Toti, la mette giù più chiara: «Siamo peggio di un partito leninista, ma io non mollo». Vuol dire, tra l’altro, che la via crucis della Consulta prosegue. Il Pd insiste su Violante, anche se Grillo afferma che l’ex presidente della Camera difetta dei requisiti necessari e per ora nessuno lo ha saputo smentire norme alla mano. Ma Forza italia ormai naviga a vista. Nella più totale oscurità.