Silvia Colasanti è oggi una delle espressioni più interessanti ed innovative del panorama della musica di ricerca. Lei che ha nel suo dna l’attitudine alla comunicazione è sempre molto attenta a veicolare la propria scrittura al pubblico, prediligendo un aspetto importante come la ricerca interiore. Ci incontriamo nella Piazza Grande di Montepulciano dove si è appena conclusa una stupenda esecuzione di Cede Pietati, dolor eseguita dalla ORT diretta da Marc Niemann e dopo la prima di Silence is peace da parte del chitarrista Giovanni Puddu alla Chigiana .

Silvia Colasanti, foto Barbara Ricon

SILVIA COLASANTI viene dalla tradizione e quindi oggi l’arte della composizione «semplificata», soluzione che permette a chiunque poporre la propria creatività attraverso una tastiera elettronica e un computer e caricando tutto su youtube, la metta in allarme: «Rifiuto questa modalità di lavoro, penso che le competenze e la tecnica siano necessarie per veicolare la profondità di un messaggio. Ad orecchie attente, a chi come me e a molti altri che hanno avuto una formazione classica fatta di studi approfonditi, queste differenze sono evidenti. La musica è disciplina, rigore, tutto questo va poi ad incidere sulla qualità di quello che si fa. Certo è evidente una tendenza alla superficialità in questo tipo di scrittura, ma è musica che non riguarda il pubblico a cui mi rivolgo».

Un metodo e una disciplina che la compositrice romana ritiene fondamentale: «Cerco di farlo sempre, trovare una strada che possa veicolare un messaggio profondo e non per questo perdere di vista la comunicazione con il pubblico, così come sta succedendo negli ultimi anni da Spoleto a Montepulciano, a Siena, ad esempio. Cerco di arrivare ad un pubblico vasto, che è fatto di proprie memorie, proprie competenze, i messaggi possono arrivare in tanti modi. Per me l’obiettivo è quello di arrivare a chi ascolta, evitando banalizzazioni e superficialità. Questo non toglie che si cerchi di rendere anche la complessità che il presente esprime, perché noi siamo complessi, in maniera molto chiara».

Per me l’obiettivo è quello di arrivare a chi ascolta, evitando banalizzazioni e superficialità.

D’ALTRONDE Silvia Colasanti è diretta discendente di una scuola compositiva che ha sempre avuto come obiettivo quello di co comunicare al pubblico, da Petrassi a Morricone: «Ho studiato con Luciano Pelosi che veniva dalla scuola di Armando Renzi che era molto solida, legata alla tradizione ma che non è un modo per essere ancorata al passato. Ed è così che mi muovo oggi, cercando ancora di fare la mia rivoluzione. È soltanto conoscendo il passato che si riesce a dialogare con il presente e avere chiarezza delle cose». Luciano Pelosi rappresenta in se proprio la tradizione, come dimostra la somma di persone che lo hanno formato, da Petrassi a Renzi, da Pizzetti a Mortari. Non dimenticando Franco Ferrara e Diego Carpitella: «Ho avuto con lui un rapporto di grande gratitudine perché è sempre stato un maestro estremamente generoso, ancora oggi mi stimola e nel tempo non mi ha mai fatto avere paura di confrontarmi con la storia e con la tradizione. È un rapporto che esiste ancora. Poi in Accademia a Santa Cecilia insegnava Azio Corghi e dopo il diploma in conservatorio mi è venuto spontaneo perfezionarmi con lui, tanto da seguirlo anche a Siena».

«CON PELOSI – chiosa Colasanti – hanno una idea estetica diversa ma sono accomunati da quell’aspetto artigianale della musica, entrambi cercano un equilibrio tra quelle che sono le realtà e le sue regole e dei limiti ed è proprio in essi che dobbiamo essere capaci di esprimere la nostra libertà e la nostra creatività. È questa la lezione che entrambi, anche se in maniera diversa, mi hanno impartito.».