Qualcuno spiega la decisione di Donald Trump di non spostare, per ora, l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme come un dono all’Arabia saudita per gli oltre 100 miliardi di dollari che il regno dei Saud spenderà in armi americane e, più in generale, alle petromonarchie sunnite del Golfo che ha chiamato a formare un fronte anti-Iran e «contro il terrorismo», noto anche come la “Nato araba”. Un prezzo che il governo Netanyahu ha pagato, ma solo in apparenza, malvolentieri. In realtà l’esecutivo israeliano spera che il sacrifricio sia ricompensato con una politica araba e statunitense di scontro duro con Tehran fino alla realizzazione del sogno del congelamento dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano firmato due anni.Trump ha mantenuto sino ad oggi solo alcune delle pericolose promesse fatte in campagna elettorale. Una di queste è l’aggressione, per ora solo politica e diplomatica, a Tehran. E ha riempito i vertici degli apparati militari e di sicurezza con falchi contrari all’intesa con l’Iran sciita, come il segretario alla difesa James Mattis e il capo della Cia Mike Pompeo. Quest’ultimo avrebbe scelto, secondo quanto scrive la stampa Usa, come responsabile per le operazioni segrete in Iran Michael D’Andrea, re della “guerra dei droni” in Pakistan e Afghanistan e convertito all’Islam sunnita, a quanto si dice ossessionato dal revival dello Sciismo in Medio oriente.

Trump fa la sua parte, con la benedizione di Netanyahu, ma lo “storico” discorso che ha pronunciato il mese scorso a Riyadh, davanti a oltre 50 leader musulmani, non ha prodotto neppure l’embrione della Nato araba contro l’Iran. Piuttosto ha innescato un regolamento di conti tra l’Arabia saudita e il Qatar sponsor dei Fratelli musulmani, storici nemici di Riyadh, che lacera lo schieramento sunnita. La mediazione avviata dal Kuwait non ha avuto effetto. Lo scontro è sempre più aperto ed è chiaro che alla base non ci sono solo le presunte dichiarazioni fatte dall’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim, contrarie all’isolamento di Tehran e critiche della politica dei Saud – Doha le ha smentite attribuendole ad un attacco di hacker alla sua agenzia di stampa – perché Riyadh e i suoi alleati (Bahrain, Egitto ed Emirati) accusano ancora più di prima il Qatar di aver mandato in frantumi il fronte sunnita, di parteggiare per il “nemico iraniano” e di sostenere i “terroristi” Fratelli musulmani.

Inevitabili e immediati sono stati i riflessi nella regione, in particolare nella guerra che si combatte in Siria. L’editorialista Mustafa as Said scriveva qualche giorno fa sul più noto dei giornali egiziani, al-Ahram, che la Turchia stretta alleata del Qatar, i Fratelli musulmani e alcuni gruppi armati (finanziati da Doha) che agiscono in Siria hanno preso le parti del Qatar. Erdogan perlatro è tornato infuriato dal suo recente incontro (appena 22 minuti) con Trump a Washington e non ha partecipato al summit a Riyadh. Il leader turco ha accolto con rabbia la decisione della Casa Bianca di riarmare i combattenti curdi impegnati contro l’Isis al confine tra Siria e Turchia e di non estradare Fethullah Gulen (che vive negli Usa), il predicatore accusato da Ankara di aver organizzato il tentativo di colpo di stato in Turchia dello scorso anno. Erdogan ha anche capito che gli Stati Uniti che non gli perdonano di aver trovato una intesa con la Russia per la creazione delle cosiddette “zone di de-escalation”, più o meno pacificate, in Siria. «Quelle aree (agli occhi di Washington, ndr) – spiegava as Said – hanno permesso all’esercito siriano di riprendere il controllo circa 15 mila kmq di territorio in pochi giorni nella Siria orientale e di avvicinarsi ai confini con l’Iraq mentre le alleate milizie sciite irachene si precipitavano nel distretto di al-Ba’aj vicino ai confini siriani, consentendo il contatto tra le due parti per la prima volta dal 2011 guerra. Ciò andrà a favore dell’alleanza Russia-Siria-Iran».

Per questo sottolineava due giorni fa, su Haaretz, l’analista Zvi Barel «Trump e Netanyahu hanno sognato troppo velocemente una coalizione sunnita pro-occidentale contro l’Iran e contro il terrorismo guidata dall’Arabia Saudita. E ingannano se stessi evitando una discussione sui rapporti interni arabi che potrebbero facilmente distruggere tale coalizione». In sostanza, fa capire Barel, semplificano a proprio uso lo scenario mediorientale e non comprendono che le relazioni tra sunniti e sciiti e tra musulmani arabi e musulmani non arabi sono estremamente complesse.