Giuseppe Conte rilancia il voto sulla sua leadership: «Si terrà nel corso della prossima settimana», ha annunciato ieri. Dunque, l’avvocato continua a cercare il consenso degli iscritti al Movimento 5 Stelle, sfidando le condizioni legali dettate dalle decisioni del tribunale di Napoli e inseguendo i numeri che nell’ultima votazione, quella sullo statuto, sono mancati.
Più avanti, dopo il test delle amministrative di maggio che a questo punto per i 5 Stelle sono un’incognita anche dal punto di vista giuridico, il leader ha in mente di consultare la base sul tetto dei due mandati e sulla scelta dei meccanismi di deroga. «In una prospettiva di rilancio del M5S si sta discutendo se sia il caso di modificare questa regola, in parte o meno», spiega a chi gli chiede conto dello stato dell’arte. Le posizioni sono note: Beppe Grillo vorrebbe mantenere il principio identitario (l’ultimo rimasto in piedi). Conte, tendenzialmente, pure: sa che questo tema paga dal punto di vista elettorale e ne approfitterebbe per avere mano libera nella composizione delle liste. D’altronde, motivi di ordine pratico spingono a trovare una soluzione per alcuni dei big e dei volti storici (a partire da Luigi Di Maio e Roberto Fico) che avendo esaurito i mandati altrimenti si vedrebbero estromessi dal parlamento.

Nel frattempo, nel Movimento 5 Stelle serpeggiano divisioni e malumori anche sull’atteggiamento da tenere nei confronti della guerra in Ucraina. Che Nicola Grimaldi abbia pensato di stabilire una sorta di par condicio bellica e dunque di invitare in parlamento dopo Zelensky anche Putin, Conte la considera ovviamente una «sciocchezza». Dietro le sortite del deputato Grimaldi, però, si osservano numerosi grillini in sofferenza. Nel voto sul decreto per gli aiuti umanitari e militari all’Ucraina il M5S ha registrato due voti in dissenso, quelli dei deputati Gabriele Lorenzoni ed Enrica Segneri, che hanno rimarcato il loro no. In due si sono astenuti e in 28 non hanno partecipato alla votazione. Quello degli assenti tra gli eletti comincia a essere un problema strutturale, un segno di disaffezione e mancanza di motivazione più che di dissenso politico. Il leader ha chiesto conto ai presidenti dei gruppi alla camera e al senato, che avrebbero il compito di controllare le truppe. Conte nega spaccature sul tema delle armi: «Non c’è bisogno di posizionarci – spiega – Dall’inizio abbiamo preso una posizione chiara, ferma, univoca. Non abbiamo mai tentennato, abbiamo fatto subito sintesi confrontandoci internamente ed è quella la linea».

E però in diversi dalle stanze del M5S raccontano che l’ex presidente del consiglio non ha affatto gradito il voto favorevole espresso alla camera sull’ordine del giorno sulle spese militari. Ancora una volta è rispuntato il dualismo con Di Maio, che pareva sopito da qualche settimana di fronte alle difficoltà legali. L’atteggiamento iper-pragmatico del ministro degli esteri, è la valutazione di Conte, serve solo a lui stesso per accreditare il suo ruolo istituzionale. Al contrario, i 5 Stelle hanno bisogno di caratterizzarsi meglio, seppure all’interno della coalizione (da Conte ribattezzata «fronte») progressista. Per questo cerca di rendere la sua critica «Draghi l’ha chiarito in modo trasparente – spiega – non siamo in condizione di poterci avventurare in incrementi di investimenti militari».