Dopo il forfait del premier Matteo Renzi (causa impegni di governo), arriva – giusto prima dell’inizio – quello del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi (motivi di salute). E così, l’annuale assemblea dell’Unione industriale di Torino, che si è tenuta per la prima volta in una fabbrica – alla Maserati di Grugliasco – resta senza due dei protagonisti più attesi. Il terzo è in platea, in prima fila, ed è il padrone di casa: Sergio Marchionne, l’amministratore del gruppo Fiat Chrysler Automobiles.

Ai maliziosi che vorrebbero vedere qualche stranezza sul fatto che gli industriali torinesi di Confindustria abbiano scelto, come sede per riunirsi, una delle aziende del gruppo che sul finire del 2011 decise in polemica di uscire dalla confederazione, risponde laconicamente la presidente dell’Unione industriale, Licia Mattioli: «La Maserati è un’eccellenza del nostro territorio».

Discorso chiuso o congelato. Marchionne, nonostante abbia accantonato i diverbi quasi 3 anni fa, non ha intenzione di fare marcia indietro e rientrare in viale dell’Astronomia. Non interviene durante i lavori, ma incassa applausi e complimenti: «Questa fabbrica è un luogo che, insieme a numerosi altri, dà prova di robustezza del nostro tessuto produttivo. Renzi mi ha pregato di dirvi che la ritiene un luogo speciale per la produzione italiana» dice ancora la presidente Mattioli.

«È il simbolo della nostra rinascita» aggiunge un’operaia team leader, che ha dato il benvenuto agli imprenditori torinesi. «Ringrazio senza se e senza ma chi ha investito qui, grazie per aver creduto in questo Paese difficile ma che ha ancora straordinarie opportunità» ha sottolineato – a nome del governo, in assenza di Renzi – il vice ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, rivolgendosi ai vertici del Lingotto.

Maserati è, recentemente, stata sede di un acceso confronto tra azienda e sindacato: uno sciopero di un’ora della Fiom aveva scatenato la ripicca del manager italo-canadese che aveva bloccato, in un primo tempo, i 500 trasferimenti di operai da Mirafiori a Grugliasco. E fuori dallo stabilimento di corso Allamano, la Fiom (i cui lavoratori hanno inviato una lettera a Renzi, senza risposta) e i sindacati di base hanno mostrato l’altro volto dell’azienda modello. «Non è vero che non ci sono problemi. Ne esiste uno, strutturale, in Fca, che tutti gli imprenditori aderenti a Federmeccanica dovrebbero tenere presente: c’è cassa integrazione in tutti gli stabilimenti – dice Michele De Palma, responsabile Fiat della Fiom – Va fronteggiata con tutte le organizzazioni. La Fiat deve riconoscere tutti i delegati».

Marchionne, insieme al presidente Fiat John Elkann, ha accompagnato gli industriali torinesi nella visita al reparto montaggio, accennando a come abbia intenzione di chiudere al più presto l’accordo sul contratto specifico di primo livello del Lingotto. La Fiom? «Firmi gli accordi e si sieda al tavolo».

Le tute blu della Cgil, escluse dalle trattative con i “sindacati del sì”, chiedono un tavolo unico «per il rilancio dell’auto», a cui si siedano il governo, le imprese e i sindacati. «Nelle parole di Marchionne – ha sottolineato Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom – emerge l’ormai consueta indeterminatezza, che Mirafiori patisce più di altri. L’unica certezza è che con il nuovo contratto separato gli operai Fiat percepiranno meno soldi degli altri metalmeccanici».

All’interno della fabbrica, durante l’assemblea, la presidente Mattioli ha aperto «a una contrattazione collettiva più decentrata in grado di essere più vicina alle esigenze delle imprese e dei lavoratori, azienda per azienda». Parole che non saranno dispiaciute a Marchionne.