Riparte per l’ennesima volta il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. La notizia è che c’è il via libera da parte del ministro Giovannini per una soluzione a una o tre campate di collegamento stabile.

Ma la novità politica è che questa volta non è Berlusconi o il centrodestra a rimettere in moto il progetto ma il Pd, che con la ministra De Micheli aveva promosso la creazione di una commissione che doveva scegliere tra diverse soluzioni. La relazione dei tecnici sottolinea che tra le «profonde motivazioni» per la realizzazione dell’opera vi sia il completamento dell’alta velocità tra Napoli e Palermo. Geniale.

In un Paese che sta vivendo una crisi sanitaria e economica drammatica, cosa c’è di meglio per distrarre l’attenzione che rispolverare un sogno finito da anni nel cassetto? Il paradosso è che quel progetto fu abbandonato proprio da un Governo molto simile a quello attuale, con Mario Monti, per il fallimento tecnico e finanziario della proposta. Nessuna novità nel documento della commissione sul come quei problemi siano stati superati e figuriamoci se ai membri della Commissione è venuto in mente di andare a vedere cosa è stato fatto da allora da parte di chi era al governo per migliorare i collegamenti lungo lo Stretto e al sud.

Perché in questi dieci anni la situazione è persino peggiorata, per chi si muove in traghetto tra Sicilia e Calabria, per la più totale disattenzione nei confronti di studenti e pendolari, turisti che vorrebbero spostarsi tra Villa San Giovanni, Reggio e Messina. Come è peggiorata la situazione dei treni, quelli nazionali si sono ridotti con il taglio di numerosi intercity e sono stati ridotti anche i collegamenti regionali.

Al ministero delle Infrastrutture d’altronde interessano, da sempre, solo i cantieri e non cosa si muove sulle linee. In un altro Paese europeo avrebbero chiesto alla commissione di tecnici di approfondire le ragioni di questa situazione, le responsabilità, di presentare idee e proposte. Siccome nulla di tutto questo è stato fatto era normale che riprendessero spazio le lobby del cemento.

Le risorse europee del recovery plan in questi mesi hanno fatto ripartire un’eccitazione collettiva sulle grandi opere, con l’idea che tutto ora sia possibile. Nulla di più falso, perché il ponte è fuori dal Recovery plan, ma non importa. Quello che interessa ai costruttori è che riparta l’attività di progettazione, che si muovano consulenze e magari riprenda vita la società mai sciolta del tutto.

Fino ad oggi solo il movimento di carte intorno al Ponte ha garantito un miliardo di euro di risorse pubbliche ai fortunati gestori. Quante scuole, stazioni, ospedali, strade si potevano ristrutturare con una cifra del genere?

Ai partiti sembra non interessare, tantomeno a Pd e 5 stelle che in passato erano contrari e avevano denunciato questa realtà. Più semplice appropriarsi del sogno di far uscire il Sud dalla sua crisi grazie a quei tre chilometri sopra il mare dello Stretto e di collegarsi direttamente all’alta velocità ferroviaria. Per questo secondo progetto la previsione di spesa arriva a 29 miliardi di euro, per treni che un giorno dovrebbero sfrecciare a 300 chilometri l’ora per le montagne dell’appennino fino a Napoli. La beffa per i cittadini del sud è che questi progetti sono del tutto irrealistici e senza risorse, senza speranze in un Paese con il debito pubblico italiano.

Quello che è inaccettabile, e su cui dovrà ripartire la mobilitazione, è che Governo e Regioni non abbiano alcun progetto per rilanciare le possibilità di muoversi in questi territori quando sarà finita la pandemia. Si rinvia tutto a un futuro lontano di grandi opere, condannando questi territori ad avere pochi treni e lentissimi.

* vicepresidente nazionale di Legambiente