15 soc 2 ponte galeria bocca cucita
La polizia è andata a prenderli ieri mattina, a sorpresa per evitare resistenze o gesti di autolesionismo, poi sono stati rimpatriati in Marocco su un volo di linea dall’aeroporto di Fiumicino. Questo l’epilogo del viaggio di Bouza e Karim, che dopo aver attraversato il mare dalla Libia erano arrivati a Lampedusa, per poi essere trasportati dall’isola direttamente nel Cie romano di Ponte Galeria. Con altri loro compagni i due nord africani avevano riacceso i riflettori sulle condizioni di vita nei Cie e sulla legge Bossi-Fini sull’immigrazione: si erano cuciti la bocca e rifiutato il cibo per giorni, si erano appellati al Papa e a Napolitano, lottato fino all’ultimo per non essere rimpatriati. Il 5 febbraio scorso abbiamo incontrato alcuni di loro dopo una settimana e più di sciopero della fame. Erano sofferenti sì, ma speravano che la lotta portata avanti sarebbe servita a qualcosa, che qualcuno sarebbe infine intervenuto per aiutarli.

A denunciare l’accaduto ieri mattina è stato Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio: «La cosa non è illegale ma dal punto di vista umano si poteva tentare di dare un permesso di soggiorno a queste persone che non hanno commesso reati», ha commentato, aggiungendo poi che «sembra una vendetta punitiva per aver creato molto scalpore con la protesta delle bocche cucite. È un dramma autentico, umano e politico». Marroni ha poi reso noto che lo stesso destino attende gli altri 11 migranti rimasti a Ponte Galeria che nelle scorse settimane avevano attuato proteste simili. «Quanto accaduto segna un’evoluzione tutta in negativo della questione Cie sulla quale esprimo tutto il mio disaccordo e biasimo – ha dichiarato la consigliera regionale di centrosinistra Marta Bonafoni – I protagonisti di quella dolorosa ed estrema protesta messa in atto per attirare l’attenzione del mondo al di là delle porte ingiustamente serrate del Centro, non solo non sono stati ascoltati, non solo non hanno ricevuto risposte concrete, ma vengono oggi rimpatriati senza alcuna considerazione del viaggio di dolore, dei sacrifici e pericoli che hanno dovuto affrontare per arrivare in Europa». Proprio Bonafoni è la prima firmataria di una mozione che chiede la chiusura del Cie capitolino e che tra pochi giorni sarà messa al voto alla Regione Lazio.

Subito dopo l’uscita dal Cie dei due immigrati, il sito d’informazione indipendente Dinamopress ha raggiunto telefonicamente gli altri “ospiti” della struttura: «Non ci hanno permesso nemmeno di salutarli, sono entrati e in pochi minuti li hanno portati fuori. Nemmeno gli animali si trattano così. Una vita così non vale niente se da un momento all’altro può essere “spostata” altrove, proprio come si fa con i pacchi. Oggi due persone, domani altre due, dopodomani ancora». Per questo ieri almeno una quarantina di reclusi ha rifiutato il pasto e cominciato lo sciopero della fame.

Oggi un corteo di centri sociali, reti antirazziste, movimenti per la casa e associazioni varie sfilerà da Piazzale Caravaggio, di fronte al Centro commercialo Parco Leonardo, fino alle mura del Cie di Ponte Galeria. «Chiediamo prima di tutto la chiusura di questi luoghi – dichiarano gli attivisti – lo faremo in tanti e in maniera radicale, ma chiediamo anche che si blocchino immediatamente le espulsioni degli immigrati». «Chiudere i Cie è la premessa per abolire la Bossi-Fini – spiegano gli organizzatori – senza però tornare alla precedente legislazione sull’immigrazione, la Turco-Napolitano del centrosinistra che ha istituito i lager per migranti, solo che prima si chiamavano Cpt e non Cie». In piazza quella che si definisce la «Roma meticcia»: un movimento non per i diritti dei migranti, ma di italiani e migranti che già lottano insieme. «E’ un dato di fatto –sostengono ancora gli attivisti –che ormai sono migranti i protagonisti di alcune delle più importanti lotte sociali del nostro Paese, dalle occupazioni di case, agli scioperi, ai picchetti nel settore della logistica».

Il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria è uno degli ultimi quattro rimasti aperti dal nord al sud; tutti gli altri sono stati chiusi, definitivamente o in attesa di riapertura, grazie alle rivolte dei migranti detenuti. «È arrivata l’ora di archiviare una volta per tutte questa vergogna di Stato».