Chi l’avrebbe mai detto. Viviamo un tempo in cui per occuparsi di linguistica può essere utile una predisposizione alla vita spericolata tra dibattiti social e polemiche virulente a mezzo stampa. Un tempo in cui quell’astrusa materia che avevi creduto appannaggio di un manipolo di folli come te è al centro del dibattito pubblico. Rea, ancora una volta, ne è quella «e» rovesciata di nome schwa che già aveva fatto parlare e sparlare di sé nell’estate del 2020 (Vera Gheno ricostruisce la polemica nella versione aggiornata di Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, effequ, 2021). Che succede ora? Andiamo per ordine. Da qualche giorno circola in rete un appello partito da un ordinario dell’Università di Cagliari intitolato: Lo schwa? No, grazie. Pro lingua nostra. Il gruppo firmatario dell’italico testo annovera personalità del mondo accademico e mediatico quali Cacciari, Barbero, Beccaria ma anche Edith Bruck e Ascanio Celestini la cui visibilità ha subito permesso di «fare notizia», perfino sul Times.

Come se gli usi linguistici potessero essere censurati a colpi di petizioni, il testo punta il dito contro la presenza del simbolo grafico in alcuni verbali di una Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale alla docenza universitaria che ha adottato questa forma per evitare il cosiddetto maschile sovraesteso come nel caso di professori per indicare professori e professoresse (o eventuali persone che non desiderassero dire il proprio genere). Che cos’è infatti la (o lo) schwa? È un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale che indica la vocale intermedia, quella che si articola con la bocca a riposo come nella finale di «Napule» detto in napoletano. Il suo uso è stato proposto «dal basso», come alternativa pronunciabile dell’asterisco, per evitare la marcatura di genere che in italiano vincola alla classificazione all’interno della dicotomia maschile/femminile sgradita alle persone non binarie e a chi ritiene che il sesso o il genere non siano un’informazione sempre pertinente e necessaria.

Non una cancellazione del femminile e del maschile, dunque, ma un’alternativa al maschile prevalente e una possibilità di estendere la rappresentatività della lingua a soggettività nuove. Come spiega in numerosi testi divulgativi ma precisi la linguista Vera Gheno, la schwa è una delle soluzioni per indicare una persona che si è dichiarata non binaria, di cui non si conosce il genere o il cui genere non è pertinente in un dato contesto. Inoltre, la schwa serve a non esplicitare il genere di una collettività mista ovviando a una fondamentale asimmetria linguistica. In italiano, infatti, poiché il maschile è considerato il genere non marcato, quello di riferimento, quando si parla di una collettività mista basta che ci sia anche solo un uomo tra una maggioranza di donne perché la regola preveda il riferimento al maschile: Benvenuti a tutti; Giovanni, Maria e Chiara sono andati. Il maschile sovraesteso è dunque la traccia linguistica di un modo asimmetrico di concepire i rapporti tra maschile e femminile, tra uomini e donne che risale alla società indoeuropea. Questa asimmetria oggi ci interroga, fa sorgere l’esigenza di elaborare strategie, magari parziali e provvisorie, ma legittime per esprimere il nostro stare al mondo in modo più equo.

Tanto questa sperimentazione linguistica quanto chi la contesta esprimono dunque ben più che una mera questione formale o estetica bensì un’idea di società. Ed è sintomatico che la petizione derubrichi il tentativo di rispondere a una domanda sociale di eguaglianza a «frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività». Come se non bastasse, quanto sia sensibile al pluralismo e alla non discriminazione chi ha esteso il testo è espresso sia dallo strumentale riferimento a «chi soffre di dislessia e di altre patologie neuropatipiche» – rispedito al mittente da una lettera aperta leggibile e sottoscrivibile sulla pagina facebook Ferocia (con la schwa al posto della e: persone neurodivergenti appartenenti alla comunità lgbtiaq+, insegnanti, attivistie e allies) – sia da questo passo dal vago sentore di razzismo anti-terrone: «Peculiare di diversi dialetti italiani, lo schwa trasformerebbe l’intera penisola, se lo adottassimo, in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l’Abruzzo, il Lazio meridionale e il calabrese dell’area di Cosenza». Ma ‘o ver fai?