«Sì alle stepchild adoption»
Diritti La corte d’Appello di Roma riconosce alle coppie omosessuali il diritto ad adottare il figlio biologico del partner
Diritti La corte d’Appello di Roma riconosce alle coppie omosessuali il diritto ad adottare il figlio biologico del partner
Sì all’adozione del figlio biologico del partner all’interno di una coppia omosessuale. A deciderlo non è stato il parlamento – dove la discussione del ddl Cirinnà sulle unione civili è fissata per il 26 gennaio – ma la corte di Appello di Roma che ha confermato ieri la sentenza con cui il 29 agosto del 2014 il Tribunale dei minori della capitale aveva riconosciuto, per la prima volta in Italia, la stepchild adoption e fissato un principio fondamentale per chi si batte per i diritti delle coppie omosessuali. quello che per un bambino l’importante è avere due genitori, a prescindere dal loro sesso. «Il Tribunale ha stabilito che non c’è alcun ostacolo a questo tipo di adozione – afferma Pili – Speriamo che questa sentenza sia un segnale anche per il legislatore perché non possiamo continuare a fare battaglie nei Tribunali – sottolinea – E comunque anche se il legislatore non si adeguerà, ora possiamo dire che anche in Italia abbiamo la stepchild adoption», ha commentato l’avvocato Maria Antonia Pili, che assiste la coppia di lesbiche che aveva presentato il ricorso.
Protagonista della vicenda è una coppia di donne originarie del Friuli Venezia Giulia ma trasferitesi a Roma nel 2003. Entrambe libere professioniste, una è psicoterapeuta, vivono insieme da undici anni e sei anni fa ebbero una bambina in Spagna dopo aver fatto ricorso alla procreazione assistita eterologa.
Dopo la nascita la coppia decise di sposarsi sempre in Spagna prima di fare rientro in Italia. Dove si evidenziò l’esigenza di un riconoscimento giuridico anche per la «mamma sociale» della piccola. «Il mio problema era la preoccupazione di cosa le sarebbe successo se io non ci fossi stata più. Speriamo che anche per altri bambini come lei e per le altre famiglie ci sia presto una legge», spiegò la mamma biologica il giorno in cui il tribunale dei Minori emise la sua sentenza consentendo alla bambina anche di prendere il secondo cognome.
Tecnicamente la decisione presa un anno e mezzo fa dai giudici minorili – che si è basata anche sulle relazioni favorevoli dei servizi sciali, che hanno sottolineato come la bambina fosse perfettamente inserita in famiglia e circondata da un ambiente affettuoso e stabile – si basa su quanto previsto dall’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, in seguito modificata dalla legge 49 del 2001 in cui si contempla l’adozione in casi particolari. Articolo che spiega come sia interesse preminente per il minore mantenere un rapporto affettivo con l’adulto con cui convive, e questo a prescidere dall’orientamento sessuale dei genitori. «Non si è trattato di concedere un diritto ex novo, ovvero di creare una situazione prima inesistente – spiegò sempre ad agosto dell’anno scorso l’avvocato Pili – ma di garantire nell’interesse di una minore la copertura giuridica a una situazione di fatto già consolidata, riconoscendo così diritti e tutela a quei cambiamenti sociali e di costume che il legislatore ancora fatica a considerare».
La riprova di quanto sia grande la distanza esistente tra chi dovrebbe legiferare e la società, è proprio il commento fatto dal senatore del Ncd Maurizio Sacconi alla sentenza di ieri: «La decisione con cui la corte d’Appello di Roma conferma l’adozione del figlio biologico del compagno in una coppia omosessuale – a detto il presidente della commissione lavoro del Senato – rappresenta una ennesima dimostrazione di come il potere giudiziario sia irresponsabile e legibus solutus. Anzi pronto a decidere contra legem proprio nei giorni in cui il Parlamento ne sta discutendo ed è diviso sull’argomento».
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