Alla fine l’accordo tra ministeri è stato siglato. Renderà meno complesso, confuso e soprattutto costoso l’uso terapeutico del principio attivo della cannabis (il Thc). Poiché entro il 2015, nelle farmacie italiane si troverà la marijuana prodotta dallo Stato. O meglio dal nostro Esercito, dato che verrà coltivata dallo stabilimento chimico militare di Firenze, nato il 22 dicembre 1832 per volontà del re Carlo Alberto e che oggi per conto dello Stato produce materiale sanitario e farmaci anche per il settore civile, come quelli per le malattie rare e per la popolazione in caso di calamità naturali o eventi eccezionali (nel 1998, per conto del ministero della Salute, preparò ad esempio milioni di compresse e flaconi della terapia del professor Luigi Di Bella, quella tumorale dimostratasi poi priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia). La struttura fa parte del finora poco redditizio progetto Aziende industrie difesa (Aid), la società che ha portato sul mercato gli stabilimenti del nostro Esercito, fortemente voluta dall’ex ministro Ignazio La Russa. Edificata in classico stile borbonico, al suo interno militari ricercatori in camice bianco realizzano dai dentifrici alle saponette, dai liquori ai kit per il pronto soccorso, oggi acquistabili online da chiunque. Un grande stabilimento ritenuto a livello internazionale di alta professionalità e qualità.
L’accordo tra il ministero della Difesa e quello della Salute, frutto di un lungo tavolo di lavoro al quale sedeva ovviamente anche l’istituto farmaceutico militare, è stato raggiunto ieri. Nelle prossime settimane, in seguito alla stesura dei decreti attuativi, ne verrà dato annuncio uffiale. Per arrivare al via libera, negli scorsi mesi c’erano state polemiche e rallentamenti. Se la titolare della Difesa, Roberta Pinotti (Pd), aveva dato quasi subito il proprio assenso, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin (Ncd), è stata molto più prudente, sostenendo che «dal punto di vista farmacologico, non ci sono problemi all’uso terapeutico della cannabis: nessuno mette in dubbio gli effetti benefici, ma va trattato come un farmaco». Temeva il cosiddetto «effetto California»: cioé una legalizzazione di fatto della cannabis, prescritta dai medici, come nello Stato americano, anche per nausee e mal di testa. Nonostante la prima legge che ha autorizzato l’uso terapeutico della cannabis in Italia risalga addirittura al lontano 1990. Mentre l’inserimento a più riprese nelle tabelle del ministero della Sanità è avvenuto dal 2007. Limitato però a una serie di patologie: per lenire il dolore nei pazienti oncologici o affetti da Aids e nel trattamento dei sintomi di malattie degenerative, come sclerosi multipla, sla e glaucoma. E nonostante nemmeno molti medici di famiglia sembra siano tuttora a conoscenza della possibilità e delle modalità da utilizzare per prescrivere medicinali a base di cannabis. Il problema maggiore resta tuttavia l’approvvigionamento, con l’Azienda sanitaria locale (Asl) chiamata a deciderne l’acquisto, il ministero della Sanità a importare i farmaci in Italia. Tranne che per la scerosi multipla, l’arrivo può infatti essere bloccato in una qualsiasi delle sue fasi, nel caso venisse giudicato che gli altri medicinali non a base di cannabis sono altrettanto efficaci. C’è poi il costo del farmaco. Importare dall’Olanda un confezione di Bedrocan, preparazione a base di infiorescenze di cannabis, costa 50 euro. Per tre mesi di terapia (18 flaconi), servono quindi circa 900 euro. E sono interamente a carico del paziente, a meno che non sia specificato diversamente da una legge regionale (finora hanno legiferato in materia Abruzzo, Puglia, Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Lombardia e Piemonte). Col risultato che soltanto 60 pazienti in Italia hanno finora avuto accesso alla cannabis per uso terapeutico attraverso le Asl. Tutti gli altri hanno poche alternative: compare illegalmente marijuana sul mercato nero. «Si tratta di una buona decisione, inoltre una volta che i prodotti vengono ammessi all’uso se qualche privato vuole produrli potrà farlo. E chi entra oggi in questo mercato sarà pronto quando presto o tardi arriverà la legalizzazione», ricorda Giorgio Bisignani, coordinatore del comitato scientifico di Forum Droghe. «La cosa che invece non si capisce ancora bene è l’origine delle piante anche se pare le fornirà la sede distaccata di Rovigo del Centro di ricerca per le colture industriali di Bologna (Cra-Cin), che lavora su questo da tempo immemorabile anche se poi dovevano distruggere il prodotto», rivela ancora l’ex ricercatore biomedico dell’Istituto speriore di sanità (Iss). Dal Cra-Cin di Rovigo arriva un secco «no comment, non possiamo divulgare questo tipo di informazioni», dichiarazione che sembra confermare l’indiscrezione di Bisignani.