Il libro Il corpo come linguaggio (La Body-art e storie simili) che fu pubblicato nel 1974 dalla Prearo editori, fu quella scossa intellettiva che disturbò le menti conformiste dell’epoca, poiché enunciò il dislocamento artistico nell’universo delle pratiche corporee. Fu la giovane e scomoda critica d’arte Lea Vergine a scriverlo, con tutta la vibrante audacia che già la connotava e con la lucida consapevolezza delle trasformazioni epocali che sommuovevano il mondo, non solo dell’arte.

COSÌ SCRIVEVA nell’incipit: «L’arte, se di arte si può ancora parlare, degli autori qui scelti non è che l’arte degli intellettuali borghesi che si cimentano contro la borghesia per separare ciò che è da ciò che non è più, per riformarne la cultura. È la vecchia opposizione al ceto capitalista che fagocita ogni produzione artistica. Ed è anche per questo che molte azioni risultano piene di spunti nietzscheani, espressionisti, esistenzialisti, sicché varie ideologie e metodi coesistono nell’ambito di tale fenomeno».
Negli anni 60-70, il corpo come linguaggio, fu uno spostamento morale oltreché espressivo, che ammaliava una generazione sperimentale e irrompeva nella vita socio-politica per affermare un sé in costruzione, in un reale da ridisegnare. Ed era, attraverso il corpo, che la percezione del desiderio innescava i processi conoscitivi dell’inconscio.

LA BODY ART e le storie simili, ossia la performance, si catapultarono come una incontenibile attitude espressiva nei decenni di riscrizione del mondo. Anni in cui il dissenso politico si convogliò in un movimentismo diffuso e destabilizzante, spinto dall’antagonismo culturale. Il corpo come linguaggio di Lea Vergine, wittgensteinamente, irrorò sterminati rizomi delle pratiche comportamentali e si diffuse come un virus planetario, tanto che nacquero i primi magazine di settore, divenuti storici, come High Performance (fondato nel 1978) e Performance Magazine (1979) oltre alla pubblicazione dei primi saggi americani, tra cui Performance: Live Art, 1909 to the Present (1979) di RoseLee Goldberg.

Con la sua intuizione e anticonformismo, percepì subito la potenzialità corporea e, pionieristicamente, ebbe l’azzardo di esperirne e studiarne intensamente la sua genesi. Intuì, con la sua grande intelligenza, che era post-avanguardia, sperimentazione, shock e che sarebbe divenuto il linguaggio a venire, mutabile, sdrucciolevole e fluido.
In seguito si avventurò in L’altra metà dell’avanguardia. 1910-1940 (1980) fino all’impudico L’arte non è faccenda di persone perbene. Conversazione con Chiara Gatti (Rizzoli, 2016).
Con la sua vita critica, curatoriale e umana, Lea Vergine ci ha lasciato una eredità inconfutabile: la storia si fa attraverso il pensiero e un agire carico di empatica dissidenza. Mai col compiacimento, la scalata carrieristica e le relazioni di potere. È il motivo per cui la sua incorruttibilità, le sue parole, i suoi studi, i suoi libri, le sue conferenze e le sue meravigliose intemperanze, resteranno uno squarcio del tempo, il suo e il nostro.