Tutta Israele si sta preparando a un funerale spettacolare con leader internazionali a dargli un gran risalto, e a ribadire che la pace è tanto positiva. Dalla collina di Gerusalemme dove Shimon Peres sarà sepolto, non si sentono le armi che massacrano i siriani a centinaia di migliaia – non poche sono state mandate proprio dai leader «pacifisti» che arriveranno qui – e il concerto di piagnistei, a parole a favore della pace, sarà guidato dalla battuta del premier Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo già ieri ha commosso tanti con una brillante orazione funebre in memoria di Peres, elogiando in particolare gli sforzi del defunto a favore di quella pace così poco agognata dal governo in carica.

Shimon Peres morto non è il Shimon Peres che la maggioranza degli israeliani odiava, diffamava, calunniava; Netanyahu – oggi suo grande ammiratore – è fra i molti che hanno sempre visto in Peres un nemico detestabile. Volavano pomodori nel 1981, nel confronto elettorale fra Begin e Peres; il suo stesso accento, che ne tradiva le origini europee, lo rendeva ancor più odioso agli occhi degli ebrei orientali; e non lo aiutò nemmeno il suo passato da falco. Peres fu l’uomo di Ben Gurion nei primi anni dello Stato di Israele; fu l’architetto del patto con la Francia che portò alla guerra di Suez nel 1956 e alla costruzione della potenza nucleare israeliana. Trattò con Begin per cercare di defenestrare il premier Eshkol prima della guerra del 1967, così da far tornare Ben Gurion. Restò fedele al «vecchio», anche se molti anni dopo parve schierarsi con la scuola del grande oppositore di Ben Gurion, Sharet, che esplorò strade verso la pace. Peres fu ministro della difesa di Rabin nel suo primo mandato (/1974-1977) e, come ha detto oggi commossa Daniela Weis – una delle leader più discusse delle colonie israeliane nei territori occupati -, fu un architetto importante della colonizzazione dei territori. Così, i già pochi tentativi di Rabin per cercare un cammino verso la pace furono ostacolati dal suo stesso ministro della difesa.

Come premier, nel 1984, Peres cercò di promuovere un accordo con il re della Giordania, vedendovi la migliore soluzione al problema dei Territori. E varò un piano economico che risolse la grave crisi del paese, ma significò anche l’inizio di una fase neoliberista che continua ai nostri giorni.

Nel 1992 Shimon Peres, dopo aver grandemente contribuito al nuovo apparato di sicurezza israeliano in tutti i settori possibili, passò alle invenzioni diplomatiche diventando ministro degli esteri. Con gli accordi di Oslo si convertì in gran rètore della pace, senza per questo porre un freno alle avventure militari quando, dopo l’assassinio di Rabin, diventò premier a interim fino alle elezioni che perse di misura contro Netanyahu nel 1996. Autorizzò azioni dei servizi segreti che provocarono una escalation del terrore e nel corso di una tristissima settimana portò avanti un’offensiva in Libano culminata con il massacro di cento civili a Qana.

Quando diventò un grande statista di livello internazionale, presidenti, re, premier di governo e politici di ogni genere ascoltavano avidamente il grande Peres che elaborava meravigliosi piani per il futuro. Nel frattempo – soprattutto quando, nel 2005, si unì al partito fondato da Ariel Sharon – egli fu il più efficace protagonista dell’opera di sbianchettamento della politica israeliana.

Anche come presidente, alcuni anni dopo, mentre il premier Netanyahu continuava a mettere in atto una politica disastrosa che non aveva niente a che vedere con la pace, mentre le forze israeliane bombardavano Gaza, mentre proseguiva la repressione nei territori occupati da Israele, sempre c’era Peres, a parlare in segreto con Obama, con Putin, con Merkel, con tutti, a dire che dietro le quinte stava maturando un’altra linea, che c’era una strada verso la pace, verso un Medio Oriente positivo, ottimista e splendido. Solo dieci giorni fa ha affascinato l’uditorio in Italia con un discorso elaborato e positivo, assicurando un futuro migliore. Ma il Medio Oriente resta in fiamme.

Peres era il grande rètore, che aiutava a mantenere una visione ottimista di mondi possibili, ben lontani dalle azioni reali della leadership israeliana. Leader come Obama, Merkel, Blair e altri hanno potuto nascondersi dietro queste cortine di parole vuote, così da non doversi confrontare con la necessità di una politica vera a favore della pace.

E le esequie? Sull’onda della frase pronunciata dal grande premier Netanyahu, tutti piangeranno per la pace e ricorderanno commossi le grandi capacità retoriche di un leader israeliano molto problematico, che fu un grande falco e morì da possibile colomba.