Nata nella rurale prefettura di Niigata nel 1937, da dove si spostò, ancora in giovane età, a Tokyo per poter proseguire gli studi in scultura, Shigeko Kubota è stata una delle artiste che nel corso della seconda metà del secolo scorso, più hanno saputo esplorare le potenzialità delle nuove tecnologie visuali e declinarle in ambito artistico. Nei primi anni sessanta, nella capitale giapponese, grazie alla mediazione della zia danzatrice, frequenta spesso il Sogetsu Art Center di Hiroshi Teshigahara e nel 1962 assiste anche ad un concerto di John Cage che le permette di mettersi in contatto, anche grazie alla sua amicizia con Yoko Ono, con il movimento Fluxus e il gruppo di artisti newyorkesi che erano attivi all’epoca.

Dopo essersi trasferita a New York nel 1964, partecipa ed influenza le iniziative del gruppo artistico in un periodo in cui lo scambio culturale fra Stati Uniti e arcipelago nipponico erano in piena fioritura, soprattutto nell’ambiente sperimentale, si ricordino almeno le opere e le esperienze artistiche della già citata Yoko Ono, ma anche di Yayoi Kusama e Takahiko Iimura.
Ma è forse nel decennio successivo che Kubota assieme al suo compagno, che poi diventerà suo marito nel 1977, Nam June Paik, diventa nota nel panorama internazionale artistico d’avanguardia come una delle primissime pioniere della videoarte, specialmente grazie alle sue video sculture, attraverso le quali costruiva delle opere tridimensionali integrate ed ibridate al medium video. L’importanza, innegabile di Paik ha spesso oscurato però la figura della compagna che forse fu fra i primissimi artisti ad usare e sperimentare con la videocamera portatile Sony Portapak, con cui nei primi anni settanta realizza i suoi video diari, dove registra la sua vita quotidiana, viaggi, incontri, ma anche il dolore per la perdita del padre.

Dopo la scomparsa nel 2015, a 77 anni, l’opera dell’artista giapponese in questi ultimi anni è stata (ri)scoperta e (ri)valutata, anche grazie alla creazione della Shigeko Kubota Video Art Foundation a New York, seconda patria dell’artista. Viva Video! : The Art and Life of Shigeko Kubota, una grande mostra itinerante organizzata in Giappone lo scorso anno che è partita dalla natia Niigata, per poi spostarsi a Osaka, ha trovato la propria conclusione qualche giorno fa nel museo d’arte contemporanea di Tokyo. Un evento che ha offerto una panoramica della vita e delle opere realizzate da Kubota nel corso di più di cinque decenni, attingendo in modo significativo dalla collezione di sculture, disegni, fotografie e oggetti, e restaurati dalla Shigeko Kubota Video Art Foundation, assieme ad altre opere e materiali provenienti da musei giapponesi e materiali d’archivio della famiglia dell’artista.
Dalle opere e dalle installazioni presenti in questa in mostra ne esce un ritratto d’artista che prima di tutto mette in risalto il gusto dada e combinatorio di Kubota, uno scarto adattato al mediascape contemporaneo, ma anche una giocosità ed una gioiosità molto pop. Nella sua serie Duchampiana ad esempio, vediamo ruote di bicicletta con schermi, o ancora scale con video incorporati al loro interno, omaggi ispirati alle opere del maestro francese che Kubota incontra di persona nel 1968. In queste sue video-sculture trovano coronamento così due delle passioni dell’artista giapponese, quella per la scultura, e quella per il «nuovo» medium visivo, che secondo lei possiede una natura scultorea e materiale molto forte e che vuole mettere in risalto nei suoi lavori.

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