Il sessantenne reverendo Al Sharpton è il più mediatico tra gli attivisti e difensori dei diritti afroamericani. Nasce a NewYork in una famiglia di ceto basso, sin da bambino abbraccia la strada religiosa, fondamentalista pentacostale prima e la ben più liberal battista poi. Frequenta senza terminarla l’università e mostra subito la sua capacità di leadership, grazie alle sue doti comunicative e a una dialettica incendiaria.

Nel 1980 lavora come tour manager di James Brown e in seguito parteciperà a trasmissioni d’intrattenimento, talk show televisivi, fino ad interpretare se stesso nei noti telefilm Csi. Amico di Spike Lee, è presente in entrambi i due film più politicamente schierati in tema di diritti dei neri del regista newyorchese: Bamboolzed e Malcolm X. Voce dello scontento razziale e portavoce delle istanze afroamericane, si è espresso anche in tema di ambiente e in difesa degli animali e in favore dei diritti civili di gay e di altre minoranze. Negli anni ’80 era particolarmente attivo nella lotta allo spaccio di droga su larga scala, specialmente per il crack che allora aveva invaso i ghetti neri decimandone la popolazione giovane. In quell’occasione ha collaborato come informatore della Fbi, aiutando a catturare i pesci grossi del narcotraffico e non solo i piccoli spacciatori, spesso giovani neri. Le indagini erano concentrate sul narcotraffico colombiano e il coinvolgimento delle famiglie della mafia italiana; la collaborazione di Sharpton è stata fondamentale nello smantellamento della famiglia Gambino. Nel 1991 ha subito un attentato per mano di Michael Riccardi.

I suoi rapporti con la politica sono sempre stati di scontro diretto: ha appoggiato Obama nella campagna presidenziale del 2008 ed ora è uno dei suoi consiglieri in tema di questioni razziali. Ha definito De Blasio l’unico sindaco capace di ascoltare e non «litigioso» come Giuliani o «incurante» come Bloomberg. Da molti anni sottolinea la pericolosità, a New York, per i neri, della politica di «tolleranza zero» di Giuliani basata sul profilo razziale e dello «stop and frisk» (ferma e perquisisci), promosso da Bloomberg che ha portato all’arresto di centinaia di giovani latinos e afro americani. Si tratta di una posizione che negli ultimi anni si è affiancata alla lotta contro la iper militarizzazione della polizia, conseguente alle leggi speciali per l’antiterrorismo volute da Bush dopo il 9/11. Sharpton evoca sentimenti molti forti ed è complessivamente considerato un personaggio controverso. Da destra viene criticato per le sue posizioni considerate estremiste e per il suo essere un trascinatore di masse in azioni che potrebbero sconfinare nella violenza. Lo si critica anche da sinistra per una certa rigidità imputatagli e per l’ossessione sulla questione razziale. Ed è stato spesso accusato di agire al confine dell’etica in nome della causa che sostiene.

A questo proposito, gli si rinfaccia il caso della difesa di Tawana Brawley, giovane donna afroamericana che Sharpton sosteneva essere stata violentata da un gruppo di bianchi. Dopo quasi un anno di indagini, la supposta violenza subita dalla ragazza, si è dimostrata fasulla. In quell’occasione il reverendo si è trovato costretto a pagare una penale di 350.000 dollari per l’accusa di diffamazione ed è stato definito dal giornalista liberal Derrick Jackson «l’equivalente nero di Nixon», capace di qualsiasi cosa in nome di un fine anche giusto e condivisibile. E questo, di fatto, rema contro la causa afroamericana. Dal 2007sono tesi anche i rapporti con Andrew Cuomo, ora governatore dello Stato di New York, figlio di Mario Cuomo e uno degli esponenti di punta nel Partito democratico americano, in seguito ad un’indagine fiscale alla quale Cuomo ha sottoposto la National Action Network, ong fondata e guidata da Sharpton nei primi anni ’90.

Al di là delle polemiche e delle controversie, la figura di Sharpton è da decenni una figura di riferimento del movimento per i diritti civili degli afro americani. Riferimento imprescindibile nell’affrontare l’argomento della parità dei diritti in una nazione dove, nonostante l’elezione per ben due mandati di un presidente di discendenza africana, la parità è ancora lontana dall’essere applicata e metabolizzata.