Il film inizia con una creativa dichiarazione di intenti: come si gestisce il realismo? Lo definisce la protagonista che ripete la lezione scolastica su Verga di fronte allo specchio con movimenti di danza. Ecco che la divisione tra vincitori e vinti nella vita è delineata. Chi nasce vincitore resta vincitore, chi nasce povero resta sempre povero. E il passaggio al realismo di Flaubert approfondisce l’impostazione del Cratere di Luca Bellino e Silvia Luzi: osservare i personaggi senza lasciarsi influenzare dai propri sentimenti. E la posizione della macchina da presa nel cinema del reale utilizzerà inquadrature captate, non ritagliate, capaci di contenere in abbondanza il fuoricampo.

Una famiglia di ambulanti, dove il dialetto fa parte di uno dei piani della sonorità insieme alla musica neomelodica, un accostamento utilizzato dal nostro cinema tante volte, ma in questo caso con originalità inconsueta proprio perché la personalità della protagonista si impone. Sharon (Sharò), giovane cantante, è per il padre della numerosa famiglia una speranza di riscatto, con la fatica di mettere insieme poche centinaia di euro per comprare la canzone nuova, registrare ed esibirsi a «Ciao tv».

E con un duro tirocinio degno del padre di Mozart per esercitare la voce («fa’ un poco e’ grrr») e per l’interpretazione («ci devi mettere nu poco e’ sofferenza») il padre segue i suoi sogni di successo in un faccia a faccia che delinea i sogni dell’uno e la progressiva chiusura dell’altra.
Nel nostro cinema il periodo di più forte crisi del dopoguerra (il ’54-55) è stato costellato da simili inutili speranze di riscatto che contrapponevano adulti pieni di aspettative e fragili bambini, come ci ricordano Bellissima e Bravissimo. Al ritorno della grande crisi ecco che sono ricomparsi quei prototipi.

Qui con originalità e senza neanche dire una parola, mentre il padre vorrebbe controllarla fino all’esasperazione, la ragazzina prende il sopravvento nella scena allora in mano ai divi, sfugge al controllo ossessivo del padre, alla necessità di diventare merce, esce semplicemente di scena senza cantare più una nota della sua canzone pagata cara a chi l’aveva scritta, all’arrangiatore e al tecnico di registrazione e che dice: «Nun te preoccupà, saccio camminà.
Nel cratere del vulcano dei sentimenti e delle grandi speranze la ragazzina prende in mano il suo destino ed esce semplicemente dalla scena del cinema «del reale», come per una indicazione programmatica e stilistica.