Sguardi di pietra s’intrecciano
Mostre Un luogo ferito dall’attacco jihadista e opere che viaggiano da Tunisi fino all’alto Adriatico per offrire una potente testimonianza di umanità: questo è il senso più profondo della rassegna archeologica «Il Bardo a Aquileia», visitabile fino al 31 gennaio
Mostre Un luogo ferito dall’attacco jihadista e opere che viaggiano da Tunisi fino all’alto Adriatico per offrire una potente testimonianza di umanità: questo è il senso più profondo della rassegna archeologica «Il Bardo a Aquileia», visitabile fino al 31 gennaio
Nel visitare l’esposizione Il Bardo ad Aquileia (a cura di Cristiano Tiussi e Paola Ventura, fino al 31 gennaio 2016) si ha la sensazione che le opere in mostra non siano semplicemente «in prestito». Hanno intrapreso un viaggio dalla riva sud del Mediterraneo fino all’alto Adriatico per essere qui accolte quali testimoni di un’umanità che abbraccia passato e presente. La rassegna s’inscrive, infatti, nel progetto Archeologia ferita promosso dalla Fondazione Aquileia con l’obiettivo di ospitare, a tappe semestrali, reperti provenienti da musei e siti colpiti dal terrorismo. Come scrivono nel catalogo (Umberto Allemandi-Torino) il presidente della fondazione Antonio Zanardi Landi e il direttore della medesima Cristiano Tiussi, l’idea di realizzare esposizioni piccole ma fortemente simboliche vuole essere «una riflessione sui valori della convivenza e della tolleranza, che tutti noi siamo convinti rappresentino la vera essenza dell’Europa e dell’essere europei». Messaggio che emerge con chiarezza già dall’ingresso del museo, dove c’è un pannello che riporta il testo di una lastra funeraria (fine IV – metà V secolo d.C.) appartenente a un africano morto ad Aquileia: «Qui giace il forestiero Restituto (…) Era venuto dall’Africa per vedere questa città. Da qui egli desiderava tornare là dove era nato, ciò tanto più fu crudele, in quanto non poté rivedere nessuno dei suoi. (Qui però) aveva trovato molto di più che non i suoi propri genitori. Ormai non era più forestiero come era venuto, così da essere (considerato) come uno di loro». Un episodio emblematico che trasmette un segnale politico sul tema, attualissimo, dell’emigrazione.
La rassegna, organizzata dalla Fondazione Aquileia con l’Istituto nazionale del patrimonio di Tunisi, il museo del Bardo, il Mibact, il Polo museale e la Soprintendenza archeologia del Friuli Venezia Giulia (tra i partners anche il comune di Aquileia, l’Arcidiocesi di Gorizia-Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia, la Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Udine, l’Edison e la Banca di Credito Cooperativo di Fiumicello-Aiello), prende le distanze dalla vuota e inutile retorica di certe commemorazioni per compiere un gesto di autentica solidarietà verso il popolo tunisino. Dal Bardo di Tunisi – scosso il 18 marzo da un brutale attacco jihadista costato la vita a ventidue persone – giungono al Man di Aquileia otto opere di pregevole fattura. Gli oggetti sono collocati all’interno di vetrine in legno laccato, progettate dallo Studio mod.Land e dotate di specchi che riflettono alcune sculture della collezione permanente. Un allestimento ricercato ed efficace, che offre un’originale prospettiva di dialogo tra i reperti e tra questi ultimi e chi li osserva. Particolarmente intenso è l’«incontro» con il ritratto di Lucio Vero, frammento di una statua colossale del II secolo d.C. realizzata nella tecnica dell’acrolito.
La testa dell’imperatore – il quale regnò assieme al fratello adottivo Marco Aurelio dal 161 al 169 d.C. – proviene da Thugga (Dougga), uno dei più splendenti siti archeologici della Tunisia, patrimonio Unesco dal 1997. Il volto del personaggio, incorniciato da grandi ciocche ondulate e da una folta barba, è un capolavoro scultoreo carico di pathos. Lo sguardo «di pietra» eppure così prossimo alla fragilità umana, ricorda che proprio sulla strada tra Aquileia e Altino – di ritorno dalle spedizioni militari contro Marcomanni e Quadi – il successore del divino Adriano trovò la morte. Eterno come tutti gli dèi è invece Giove, di cui il Bardo ha concesso temporaneamente all’Italia una statua a figura intera (II secolo d.C.) rinvenuta a Oued R’mel e dall’iconografia singolare. Mentre il braccio sinistro del dominus caeli et terrae sorregge una cornucopia, il braccio destro, ora spezzato, si leva come a sostenere un misterioso oggetto.
La seconda sezione della mostra mira a mettere in evidenza i rapporti tra la provincia d’Africa – istituita alla fine della III guerra punica e rimasta nell’orbita dell’impero romano fino all’arrivo dei Vandali – con la colonia di Aquileia, il cui arco cronologico si estende dal 181 a.C. all’incursione di Attila nel 452 d.C. Gli scambi tra le due aree sono riconoscibili, attraverso la documentazione archeologica, sia in ambito commerciale che artistico. A illustrare la ricchezza dei prodotti alimentari – grano, olio, vino e salse di pesce – che dall’Africa inondavano i mercati dell’Occidente, restano i numerosi contenitori in ceramica – anfore, vasellame da mensa, lucerne – diffusi ad Aquileia soprattutto tra il IV e la metà del V secolo d.C. In rappresentanza di tale cultura materiale, non meno nobile delle cosiddette arti maggiori, è visibile in mostra una bottiglia cilindrica in terra sigillata africana con «decorazione ad appliques» fabbricata a El Aouja nel III secolo d.C. e sulla cui superficie rossastra spicca un magnifico Apollo con la cetra.
A spostarsi da una sponda all’altra del Mediterraneo, però, non erano solo le merci: anche gli uomini lasciavano traccia dei loro movimenti. Ne è un esempio il monumento di Marco Licinio Fedele, originario della Gallia, arruolato come cavaliere nella Legio III Augusta e morto a trentadue anni ad Ammaedara (Haïdra).
La stele calcarea a coronamento triangolare con epigrafe sormontata dalla raffigurazione del defunto (I secolo d.C.) è uno dei pezzi più emozionanti dell’esposizione. I tratti naïf del personaggio, resi secondo un linguaggio «provinciale», fanno pensare alle sculture del primitivismo e accompagnano di suggestioni poetiche gli imprevedibili percorsi dell’arte. In una rassegna dedicata al Bardo non potevano mancare i mosaici, di cui l’istituzione tunisina custodisce la mirabile collezione che ne esalta internazionalmente la fama. Ad Aquileia – che fu patria di tessere dai mille colori proprio per l’influenza di cartoni e maestranze d’oltremare – arrivano un mosaico che ornava la Casa dei Laberii a Uthina (Oudhna) e due pannelli musivi con lottatori dal tepidarium di un impianto termale di Gigthis (Henchir Bou Ghrara).
Tutti i reperti s’inquadrano nel II secolo d.C. e rivelano il sublime livello raggiunto dai mosaicisti africani, capaci di rendere con realistica precisione scene della vita quotidiana e rituali della sfera religiosa. La leggiadra figura femminile che incede nel mosaico di Uthina tenendo nella mano una falce e un cesto (kalathos) colmo di spighe, sia essa la rappresentazione della dea Cerere o della primavera, è il degno sigillo a questa significativa mostra. Un augurio di rinascita per un paese ripetutamente colpito dalla violenza del fondamentalismo islamico, ma anche per l’archeologia che può porsi come veicolo di pace e fratellanza. Aquileia, che nell’antichità si distinse per la felice convivenza tra romani, giudei, greci, alessandrini e nord-africani, chiama oggi a raccolta le radici disperse di un mondo che ha saputo unire popoli e amalgamare culture. Un museo «periferico» si è affacciato con coraggio su una terra macchiata del sangue di innocenti amanti del bello, riportando alla coscienza dell’Europa il profondo valore taumaturgico e pedagogico dell’arte.
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