Il vento infuria tra le mura del Castello Normanno e i vortici elettrizzano l’apertura di Innesti contemporanei, uno dei rari festival calabresi di teatro e arti performative. Condizione meteorologica estrema che ben rappresenta le difficoltà di realizzare una tale attività in questo territorio, anche per il continuo salasso migratorio dei giovani verso Nord. Mirabile è quindi la tenacia di chi resta o di chi torna, come ha fatto Saverio Tavano che, nei panni di direttore artistico, con la sua compagnia Nastro di Möbius, ha strutturato questa seconda edizione del progetto, attingendo a fondi regionali destinati ai giovani. Giusto allo scoccare dei suoi 35 anni. Ahinoi, questi bandi impostati sui limiti di età! Il nome del gruppo, mutuato dalla scoperta del matematico tedesco, promette un agire all’infinito, una sorta di ottimizzazione di spazio e tempo, vedremo cosa accadrà nel 2018. L’ideale sarebbe stato procedere col sostegno di una triennalità, le incertezze non aiutano la crescita di un festival nascente.

Intanto, arroccato sulla collina più alta di Squillace, dal centro dell’omonimo golfo, il Castello, che domina il Mar Jonio, si apre ai paesaggi drammaturgici del Sud e della Calabria in particolare, strizzando però l’occhio a Roma (se dovessero chiudere i rubinetti dell’acqua nella capitale… la collocazione geografica lascerebbe il posto a una facile ironia), con dieci spettacoli, fino al 30 luglio. Già la prima sera con Bollari (parola che indica l’avvistamento dei tonni), Carlo Gallo, coadiuvato da Peppino Mazzotta, dà voce alla disperazione dei pescatori crotonesi, in epoca fascista, in una lingua aspra e tagliente, il cui lessico, talvolta incomprensibile, è stato recuperato direttamente dai racconti dei protagonisti.

E Nino Racco con Opera aperta rende omaggio a Rocco Gatto, comunista assassinato dalla ‘ndrangheta a Gioiosa Jonica nel 1977, mescolando al ritmo lamentoso del cantastorie i lazzi della Commedia dell’Arte. Approda a Roma, ma con inflessioni campane, il protagonista di Un uomo a metà dei messinesi del Castello di Sancio Panza, terzo monologo della serata scritto da Giampaolo G. Rugo e diretto da Roberto Bonaventura, affidato alla divertita interpretazione di Gianluca Cesale, capace di rendere tragicomica la dolorosa vicenda di un anonimo rappresentante di oggetti religiosi e trasformarla in un apoteosi delittuosa.

Tra inganni e machismi la prima vittima è proprio Giuseppe, allucinato dalla visione della Madonna ogni volta che si appresta a fare sesso con la fidanzata – guarda caso – Maria, la quale pagherà con la testa fracassata la somma di frustrazioni e impotenze. Arma utilizzata una statuetta della Madonna. Questo sguardo di Innesti direzionato verso il Meridione porterà a Squillace anche il Pubblico incanto di Tino Caspanello con Mari, un altro messinese, con uno spettacolo delicatissimo e profondo che gira – poco – da almeno un quindicennio. E poi il romano Daniele Timpano col suo sempre verde Dux in scatola. Tavano vuole insomma iniziare a far conoscere il teatro d’autore in questa parte della Calabria.