La redazione consiglia:
Beatles, il «Sergente» d’oroI classici, quando nascono, non sanno di esserlo. Nessuno si mette a scrivere, a dipingere, a comporre un brano avendo l’ardire o la presunzione di credere di star creando un «classico». Tanto più se dalla testa e dalle mani, a forza di rastremare idee e farle convergere in un punto focale, alla fine salta fuori uno strano manufatto dello spirito che l’autore stesso, per primo, non ritiene di padroneggiare in pieno, nell’autonoma erranza di significati che l’opera stessa assume. Forse è il caso di rammentare una vecchia definizione che, riassumendo, spiegava che un classico abita con comodità la propria epoca, reca tracce consistenti di ciò che lo ha preceduto, e ha pure la forza di far intuire numinosi paesaggi (sonori, visivi…) futuri.

NELLA POPULAR MUSIC questo passaggio è stato sfiorato o raggiunto in diverse occasioni, e nella prima cinquina di opere che vale la pena farsi subito venire in mente c’è di sicuro Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, uscito nella primavera del 1967 pregiatissima ditta Beatles in piena creatività. I classici non finiscono, nelle interpretazioni e nello scavo che possiamo mettere in atto per cui ben venga un’opera seria, ben scritta, ottimamente documentata, che riesce a coniugare in scioltezza il dato storico, quello sociologico, l’estetica dell’opera stessa e il suo ambito di riferimenti nell’estetica complessiva di quel periodo, non dimenticando, anche, un’attenta analisi musicologica per smontare e rimontare cosa ci continua a far apparire come meravigliose quelle canzoni. The Beatles: Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Carocci) l’ha scritto Alberto Mario Banti, docente universitario di storia culturale, già autore del formidabile Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd. Sgt. Pepper dei quattro di Liverpool attinge parecchia della sua grandezza per essersi saputo collocare in quello che gli antichi greci chiamavano kairόs, il momento giusto, il momento opportuno dislocato nel tempo che fissa e stabilizza un dato di realtà pregnante.

CON CANZONI complesse intessute degli stimoli più diversi, e sempre col dono di una scrittura benedetta dagli dei della melodia il disco dei Beatles riuscì a fissare gli sfuggenti contorni di un’epoca che era psichedelia, dirompente passione per le filosofie orientali, pacifismo, controcultura praticata e cercata in ogni rivolo del sapere. Nelle musiche stiparono riferimenti alle note classiche sette/ ottocentesche, alle avanguardie, alla folk music. Ce ne accorgiamo oggi: ci furono però anche critiche dirompenti. Poi, quando arrivarono la world music e il progressive rock più raffinato, qualcuno tornò ad ascoltare il «Sergente Pepe» con altre orecchie. C’erano già tutti gli indizi, lì, ci racconta Banti.