Decide Roma, il coordinamento delle associazioni e centri sociali della Capitale sotto sfratto o sgombero, tornano a manifestare oggi da piazza Vittorio alle 15. A poco più di un anno dalla prima manifestazione, quando al Campidoglio c’era ancora il Commissario Tronca e ventimila persone sfilarono nelle strade, il grande pasticcio sul patrimonio immobiliare non è stato ancora risolto dalla giunta Cinque Stelle di Virginia Raggi. Sit-in (l’ultimo proprio al Campidoglio), sgomberi e rioccupazioni (Rialto Occupato), una battente campagna di stampa e una serie di ricorsi alla magistratura hanno prodotto un primo risultato.

L’11 aprile scorso, una sentenza dei Corte dei Conti ha smentito un suo procuratore e ha stabilito l’illegittimità delle richieste di risarcimento avanzate da Roma Capitale ai danni di oltre 800 spazi sociali e associativi, la spina dorsale di quel tessuto culturale, sociale, di cura e civile che rappresenta 40 anni di storia dei movimenti e dell’associazionismo romano. Era stata proprio la Corte dei conti a procedere dopo avere accertato l’esistenza di un presunto danno erariale causato dalle associazioni inadempienti che rientravano nelle concessioni di una vecchia delibera della Giunta Rutelli del 1995.

Solo che, a causa delle inadempienze della stessa amministrazione, quelle concessioni non sono mai state del tutto regolarizzate, lasciando i problemi in una zona grigia. In coincidenza del caso “Affittopoli” (immobili comunali affittati a poco nel centro storico) si è fatto di tutta l’erba un fascio. La Corte dei Conti ha stabilito che si doveva pagare il canone di mercato per l’intero periodo di usufrutto. Sono nati così i 6 milioni di euro chiesti al centro sociale Auro e Marco di Spinaceto a titoli di arretrati basati su canone di mercato calcolato su una metratura triplicata. O i 242.585 euro chiesti al centro interculturale Cielo Azzurro. E ancora: gli oltre 700 mila euro chiesti alla Scuola Popolare di musica di Testaccio che ha sempre pagato l’affitto sociale concordato. Oltre il danno, la beffa.

Non solo l’amministrazione capitolina è inadempiente, ma vuole anche essere risarcita. La giunta Marino combinò altri guai con la delibera 140: mise a bando gli immobili, promettendo di tutelare le realtà sociali in un secondo momento. Quel momento non è mai arrivato. Le procedure burocratiche sono andate avanti come schiacciasassi, anche perché sui dirigenti capitolini incombeva la minaccia di sanzioni e condanne. A quasi un anno dall’elezione, la giunta Raggi sembra un pugile suonato anche su questa partita. Ha adottato un’altra delibera che, tra l’altro, stabilisce che le associazioni “morose” – quelle che non possono pagare i canoni folli – non potranno partecipare ai bandi che comunque si terranno. E qui la beffa è diventata truffa.

Un paradosso diabolico, frutto della subalternità della politica a una malintesa ideologia della «legalità» e alle procedure totalitarie dell’austerità a cui sono sottoposti gli enti locali. Dopo una serie di incontri la giunta pentastellata sembra intenzionata a districare questa matassa, anche scrivendo un regolamento della delibera con le associazioni, ma è ancora incerta sul da farsi sugli sfratti. La rete “Decide Roma” chiede invece un superamento del sistema dei bandi e l’adozione di un regolamento sui “beni comuni urbani”, “un modello di autogestione del patrimonio pubblico da parte dei cittadini”, ricorda un editoriale della free-press Ztl che oggi sarà diffusa nelle strade e sui mezzi pubblici.

Sono un centinaio i comuni ad avere legittimato questi beni comuni che, tra l’altro, risponderebbero al principio della partecipazione evocato da M5S. Un principio che a Roma sembra un lontano ricordo.