Non è stata solo una giornata di analisi e riflessioni, peraltro capaci di offrire con chiarezza il quadro della situazione. Dall’appuntamento di Alba escono anche iniziative concrete, fra le tante un documento di denuncia sul Def presentato dall’esecutivo dimissionario ma sempre attivo di Mario Monti: «Proprio non se ne parla – osserva sul punto Massimo Torelli – mentre si discute del governo e del nuovo presidente della Repubblica, su questo fronte si va con il pilota automatico. Eppure nel Def si perpetuano tutte le scelte passate, dall’Imu agli inasprimenti fiscali ai tagli, e c’è anche una proiezione al 2014, quando scatterà la prima rata del fiscal compact». Di qui la richiesta di una discussione politica vera, con una esplicita avvertenza: «Un decimo dei parlamentari è sufficiente per presentare una mozione di sfiducia al governo».
Il rilancio politico dell’iniziativa di Alba si concretizza anche nel sostegno al network di liste di cittadinanza promosso da Sandro Medici in vista delle vicine elezioni comunali; in nuovi appuntamenti sui territori in vista della manifestazione della Fiom del 18 maggio; nell’adesione alla battaglia, capitale, sul reddito di cittadinanza. Al pari della legge di iniziativa popolare su «rifiuti zero». Espressioni diverse di una sola possibile collocazione politica. Quella espressa da Giorgio Cremaschi, non a caso salutata dagli applausi convinti di un Teatro Puccini affollato ma non esaurito: «Solo il posto dell’anticapitalismo è libero a tavola. Gli altri posti sono già tutti occupati». Il passaggio alla pratica è però tutt’altro che facile. Guardando al «soggetto politico nuovo» che resta l’obiettivo di Alba, Tiziano Rinaldini osserva lucidamente: «Si può fare qualcosa di duraturo solo se si riparte dalla possibilità di mettere ‘dentro’ il lavoro la discussione sul superamento di questo modello di economia capitalistica. Il punto di partenza resta la democrazia in fabbrica, il poter prendere la parola. Se non c’è agibilità, e se non ci sono diritti comuni di partenza come il salario minimo, gli operai qui dentro non li avremo mai. Perché la realtà ci dice che c’è una massa sempre più grande di persone totalmente ricattabili. E questo (in mancanza di un reddito di cittadinanza, ndr) vale anche per i giovani». Che non abbondano certo al Puccini.
«Siano dentro una crisi di sistema – osserva Marco Revelli – e c’è un soggetto come il M5S che lo testimonia. Noi avevamo previsto quasi tutto, e non siamo riusciti a fare quasi nulla. Non basta giustificare quello che è successo con l’opa dei partitini su ‘Cambiare si può’. La verità che è che noi non avevamo il linguaggio per parlare a quello tsunami che ha portato Grillo ad essere l’unico vincitore delle elezioni e a prendere otto milioni di voti. In tutte le classi sociali, il sogno del Pd realizzato da un altro. Ma anche il nostro linguaggio ‘riflessivo’ non è in grado di parlare alla pancia di questo paese». Che fare dunque? Carlo Freccero offre la sua chiave di lettura: «Premesso che il tema fondamentale è la crisi del capitalismo, guardiamo al grande successo di Grillo ma anche alle sue contraddizioni. Lui era già famoso, come vittima della censura televisiva. Il suo blog era forte già prima dell’intervento di Casaleggio. Riesce dove gli altri falliscono, perché è molto concreto. Non pensa alla rete come a un giornale, non fa analisi, saggi, riflessioni. Piuttosto denuncia privilegi, disservizi, malaffare. Strizza l’occhio a un pubblico maggioritario, e lavorando sull’estremismo di destra e di sinistra ha portato le ali al centro della scena. Ed è vero che senza Grillo la protesta si sarebbe riversata nelle piazze. Il problema è come ‘alfabetizzare’ quegli otto milioni».
Sulle contraddizioni dei 5 Stelle insistono anche Cremaschi («Per il Quirinale votano sia Emma Bonino che ha sostenuto le ‘guerre umanitarie’ che Gino Strada che le ha combattute»), e Giorgio Labate: «L’odio di casta è legittimo ma anche pericoloso. Il rischio di questa fissazione è quello di non centrare il bersaglio, cioè i poteri economici che stanno dietro la politica». Su questo aspetto si innesta la riflessione di Guido Viale: «Se non denunciamo la profondità della crisi, l’estrema sofferenza di milioni di persone, la distruzione dell’apparato produttivo italiano, anche noi rischiamo di venire confusi con la casta. Il punto di ricaduta delle nostre attività devono essere le amministrazioni locali, e la linea di combattimento è quella dei servizi pubblici: acqua, energia, trasporti, mense, che sono una leva per politiche economiche alternative. E anche una riconversione ambientale delle produzioni non può che partire attraverso strategie pubbliche delle aziende di servizi».