Il saper tacere e ascoltare non è più di moda e l’affermazione personale passa attraverso il bisogno di esprimersi, sempre e comunque. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Jean-Christophe Seznec, psichiatra e presidente dell’Associazione francese di terapie comportamentali e cognitive, assieme a Laurent Carouana, ha scritto un saggio dal titolo La magica virtù di misurare le parole (Feltrinelli, euro 15,00), dove analizza il nostro modo di comunicare.

Seznec, in un mondo dove i social network la fanno da padroni e dove tutti si sentono in dovere di dire qualcosa su qualsiasi argomento, lei ci spiega quanto invece è importante saper tacere e ascoltare. Un consiglio controcorrente e decisamente poco condiviso…
In noi sono presenti due personalità. L’essere umano che siamo e il nostro cervello emotivo. Il nostro cervello emotivo è quello della sopravvivenza. Nella preistoria era utile per difenderci dai pericoli. Internet ci mette in una condizione di immediatezza e reattività. Su internet rinforziamo il nostro cervello emotivo. Io lo paragono a un doberman che abbaia a tutto ciò che si muove. Internet indebolisce la nostra percezione della realtà e ci priva di elementi di contesto. Genera un rischio di stupidità. La stupidità è la difficoltà di considerare il punto di vista dell’altra persona, proprio come il doberman abbaia al postino sentendosi in pericolo e non è in grado di considerare invece che sta facendo il suo mestiere di consegnare lettere. È così che si diventa un troll su internet. Si vedono pericoli e cospirazioni ovunque e si finisce col provare piacere ad abbaiare. E invece, come dicevano le nonne, è necessario girare la lingua sette volte in bocca prima di rispondere. Infine, è importante chiedersi se il nostro intervento su internet è davvero utile.
Ho scritto questo libro perché un giorno su internet ho fatto una domanda sul funzionamento di un dispositivo. Una persona che non conoscevo mi rispose che non ne sapeva nulla! Di fronte a questa risposta inutile, sono rimasto sconcertato e mi sono posto molte domande su questo blaterare sul web. Viviamo in un’epoca in cui ci sono, forse, troppe parole e invece sarebbe necessario imparare il silenzio per non inquinare i social network e partecipare alla violenza della rete.

Poco ci aiutano a cambiar idea alcuni politici e opinionisti che ogni giorno hanno sempre qualcosa da dire. Chi non parla o scrive invece viene dimenticato…
In effetti questa frenesia delle parole genera solo rumore. Contribuisce alla violenza sociale e alimenta le teorie della cospirazione. Danneggia il senso di appartenenza al proprio Paese, la fiducia nelle istituzioni e genera sfiducia nei confronti del prossimo. È anche così che si è arrivati al dramma di Charlie Hebdo. Oggi sappiamo che è difficile riconoscere se parole, immagini o video sono veri. Questo rumore mediatico esclude molte persone e ci taglia fuori da grandi idee. Crea un mondo narcisistico e una povertà psichica. Inoltre, i canali d’informazione non-stop a volte producono più psicotraumi rispetto agli eventi stessi. Io insegno ai miei pazienti a selezionare le informazioni per proteggersi. Non dobbiamo dimenticare che la vita reale è quella che viviamo ed è lì che dobbiamo impegnarci per ottenere dei risultati, piuttosto che chattare eccessivamente sui social media. È necessario mettere i social network al posto giusto: sono i bar del mondo moderno. Le cose che si dicono lì è come si dicessero al bar, pur sapendo però che la rete non dimentica.

Scrive anche della comunicazione non violenta, oggi poco praticata visto che chi è più aggressivo è anche il più ascoltato dagli altri…
La comunicazione non violenta è un ottimo strumento per condividere ciò che è importante per se stessi, considerando l’altro. La vita sociale, familiare e di coppia richiedono compromessi. Chiedono di essere in grado di condividere la propria fragilità e di sapere come accogliere quella degli altri. La comunicazione non violenta consente questo: di vivere in una comunità e di considerare l’altro. In questo mondo narcisistico siamo spesso egocentrici, il che genera stupidità e violenza. In un documentario sui clown, come primo comandamento si dice che la gente ammiri gli acrobati, ma ami i clown. Non so lei, ma io preferisco essere amato piuttosto che ammirato. Eppure facciamo di tutto per essere ammirati mettendo in scena noi stessi e imponendo ciò che siamo sugli altri. È un vicolo cieco. Impariamo la comunicazione non violenta e vivremo meglio tutti insieme.

Dal libro emerge anche un elogio alla lentezza, l’esatto opposto di quello che ci chiede la vita di tutti i giorni, dove tutto deve essere fatto velocemente…
Ho scritto questo libro pensando a un amico africano che mi disse: voi bianchi a forza di correre ho l’impressione che abbiate fretta di morire! La lentezza ti rende più consapevole del momento. Troppe persone vivono automaticamente e secondo le regole. Da parte mia ho scelto di essere libero e di essere un «enologo» della vita. Quando assaggiamo un vino rallentiamo per scoprire il gusto del primo sorso che ci sfugge invece se lo beviamo tutto in una volta. Far risuonare la vita dentro di noi è una fonte di deliziose sensazioni. La lentezza ti consente di vivere questa esperienza interiore e di stare bene con la vita. È così che negli ultimi anni abbiamo coltivato il sesso lento e lo slow food. Il tempo libero è il lusso della nostra epoca. Per apprezzarlo è necessario rallentare per gustare la vita. Non ho fretta di morire.