Thierry Schaffauser, l’autore del libro Les luttes des putes (La Fabrique édition, Paris) si presenta come «frocio, drogato, lavoratore del sesso» e membro fondatore dello Strass, il sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso in Francia. Già co-autore, insieme a Maîtresse Nikita, di Fiere di essere puttane (DeriveApprodi, 2009), nel suo ultimo saggio, Schaffauser pone l’attenzione sugli sviluppi delle lotte dei/delle sex workers in Francia e l’esperienza della fondazione di un sindacato.

Fin dalle prime pagine, l’autore definisce innanzitutto l’orizzonte immediato delle battaglie per le sex workers, ovvero, per prima cosa, l’opposizione a ogni forma di criminalizzazione e penalizzazione. Da qualche tempo, infatti, in Francia si discute su come risolvere il problema della prostituzione, valutando, di fatto, solo due alternative: contrastare l’adescamento passivo o la penalizzazione dei clienti. Ma Thierry Schaffauser è molto chiaro a questo riguardo: ciò che vogliono «le puttane» non è «né la caccia alle prostitute con il pretesto di lottare contro l’adescamento passivo o il prossenetismo, né la penalizzazione dei clienti, che è una forma mascherata d’esclusione e marginalizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso». Il libro possiede quindi l’ambizione di andare più a fondo e contestualizzare questo movimento, iscrivendolo all’incrocio tra quelli femministi e le lotte operaie. Un incrocio «paradossale» dice l’autore, poiché tanto i movimenti femministi quanto quelli operai, in Francia, hanno spesso rifiutato, per ragioni diverse, l’inserimento delle sex workers all’interno delle loro battaglie o il riconoscimento del loro statuto di lavoratori/trici.

«Questo libro – afferma Schaffauser – ha l’obiettivo di proporre una prospettiva alle nostre lotte e rivendicazioni, una prospettiva che si iscriva in una visione globale d’emancipazione, in un orizzonte egalitario, una politica che miri a estendere la sfera dei diritti sociali di tutti e tutte contro gli attacchi repressivi, razzisti, e contro l’aumento della precarietà nel mondo del lavoro».
In questo senso, la fondazione dello Strass nel 2009 rappresenta «una tappa decisiva di un itinerario politico e militante». Ma lo Strass è stato anche – e prima di tutto – un’esigenza materiale: prendere parola in prima persona, mettendo un freno all’azione delle associazioni abolizioniste, di matrice tanto femminista quanto cattolica, pronte a promuovere discorsi e pratiche che «patologizzano le lavoratrici e i lavoratori del sesso, giustificando così la loro incapacità politica e il conseguente diritto di intervenire nelle loro vite».

Farla finita con ogni tipo di «protettore» è uno degli obiettivi di questo libro, sia questo un medico, un prete, o qualcuno che voglia «aiutare le prostitute a uscire dal giro». «Qualunque sia la maniera in cui viviamo la prostituzione, che sia una buona o una pessima esperienza, si tratta oggi di rivendicarla in quanto lavoro e dunque di rifiutare tanto lo statuto di vittima che quello di colpevole. Le soluzioni ai problemi incontrati non possono che essere trovate dalle/dai lavoratori/trici del sesso stessi. Non vogliamo protettori, ma alleati nelle nostre lotte».
C’è stata una generazione di attivisti/e sex workers che si è dovuta battere, anche in maniera provocatoria, contro tutti questi clichés che circondano la figura della prostituta, identificata senza appello in quanto «vittima», «incapace di decidere per sé». Una generazione che rivendicava la libera scelta del proprio mestiere. Les luttes des putes segna invece un passaggio, uno scarto teorico fondamentale. «Le attiviste sex workers non cercano di offrire un’immagine attrattiva o seducente del lavoro sessuale – scrive l’autore del libro -. Tutti i lavoratori non amano per forza il loro impiego, e non l’hanno scelto unicamente per passione. Le sex workers possono provare della soddisfazione nel loro mestiere o, al contrario, non amarlo. Addirittura, possono detestarlo. Perché allora solo loro dovrebbero giustificarsi rispetto al fatto di sapere se ’sì o no’ amano il loro lavoro o se l’hanno scelto per obbligo o per vocazione? Abbiamo piuttosto la tendenza a pensare che ogni lavoro sia sfruttamento, sessuale o no».

Rivendicare il riconoscimento dello statuto di lavoratori è un’arma, per accedere al welfare e ai diritti e, ancor di più, per estendere i diritti esistenti, per esempio attraverso la regolarizzazione dei sans papier. Scevro da ogni intenzione di «idealizzare» la prostituzione, l’autore non omette niente della realtà di questo mondo che, certo, consiste anche nel «traffico di esseri umani», nella violenza, nel lavoro forzato. Ma, in tutti i casi, e tanto più se si è vittime di un lavoro forzato, l’accesso ai diritti e al welfare è necessario e indispensabile.
Thierry Schaffauser, infine, riparte da lontano per mettere in luce la lunga tradizione di una sinistra miope in tema di prostituzione. Cita, quindi, Lenin nella discussione con Clara Zetkin «mi è stato raccontato di una compagna di Amburgo molto dotata che pubblica un giornale per le prostitute, affinché si organizzino nella lotta rivoluzionaria (…). Ora, è giusto, come ha fatto in un articolo Rosa (Luxemburg), una vera comunista, difendere le prostitute. Ma tutt’altra cosa è considerarle una truppa speciale di professioniste della lotta rivoluzionaria e pubblicare per loro un giornale. Non ci sono dunque veramente più in tutta la Germania delle operaie industriali per le quali pubblicare un giornale?».

Una frase emblematica di una discussione ancora aperta.
Questo libro ha l’ambizione di aprire una nuova strada per lastricare le rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, ma anche per le lotte sociali di quei precari che tanto condividono con questi ultimi in termini di condizioni lavorative e assenza di diritti e che, da sempre, si scontrano con la sordità di sinistra e sindacati.