«Ma tu lo sai che non si va in motorino senza casco?». «Ma quanti anni hai, ce l’hai l’assicurazione?». Le forze dell’ordine sono a corto di risorse, il talk è morto e allora Michele Santoro ha avuto un’idea: riconvertire la sua redazione in una squadra anticrimine, con Sandro Ruotolo nella parte del poliziotto buono.

Torna Servizio pubblico, preceduto, mercoledì, da un post d’intenti del conduttore: il genere ha nauseato, causa overdose e eccesso di imitazioni, va trovata una nuova strada entro la fine di questa stagione, che dunque per Santoro sarà l’ultima alla conduzione di un talk show.

E così il maestro con troppi emuli prova a resettare e spinge sulla legalità in un certo senso tornando alle origini, anche se più che altro come citazione. Il racconto si sviluppa tra le villette del nord e i loro abitanti vittime di furti e rapine, il quartiere Traiano, quello di Davide Bifolco, dove si spaccia e sullo scooter si va almeno in tre, il parco di Caivano con le sue storie di spacciatori e tossici o tutti e due insieme e l’odore di camorra ovunque. La vedova della vittima di rapina invoca pene più severe, Gianrico Carofiglio esalta la «cura Giuliani», il sindaco di New York della tolleranza zero. E Viviana Beccalossi di Fratelli d’Italia fa la caricatura di quelli che la pensano come lei, come caricaturale era la Santanchè che imperversava nellla stagione precedente o Ghedini prima di lei. Mentre De Magistris ha dato forfait.

Drammaturgia impeccabile, scene che ammiccano alle serie tv – il genere ultimamente più celebrato – ma insomma, alla tensione delle inchieste e delle denunce di un tempo si sostituisce la cronaca puntando sulla pancia del pubblico, come del resto faceva anche certo antiberlusconismo.

Nella guerra delle poltrone tra Floris e Giannini (il secondo si è tenuto quelle di cartone, il primo ha risposto con quelle con le crepe) Santoro rovescia direttamente le sedie al centro della scena per «frantumare il salotto tv» citando Pina Bausch, spiega, ma per il suo racconto ha ancora bisogno di un antagonista e, essendo ormai Berlusconi incapace di suscitare i sentimenti forti di un tempo, prova ovviamente a sostituirlo con Matteo Renzi al quale dedica in apertura un monologo-sfottó in inglese maccheronico, all’Alberto Sordi uozzamerica, della serie dopo trent’anni di diretta come l’ho fatta io mi posso permettere pure questa.

http://youtu.be/sydBtF2v4mY?list=UUq3QhkV1-S5KonNKUqQP8fw

L’immagine di Renzi incorniciata in giallo incombe nei momenti di conversazione, e alla fine il premier diventa esplicito oggetto di dibattito, quando si fronteggiano Marco Travaglio e Alessandro Sallusti (anche se il conduttore avverte che si sta cercando di sperimentare un ruolo nuovo per il vicedirettore del Fatto). Vauro è spostato nella prima parte della trasmissione, torna Sabina Guzzanti ma non per fare battute, chiarisce subito, lanciandosi in una «orazione civile» per presentare il suo film.

Conclusione, 5,78% di share, la metà dell’esordio della stagione precedente, l’Auditel non risparmia nemmeno il maestro. Colpa del genere che ha stufato o della scelta dei temi e del taglio? Ci sarà tempo per capirlo.