La memoria, si sa, è una freccia capace di andare avanti e indietro nel tempo. In quest’epoca così deprimente la memoria sembra irretita come non mai e rischia, perciò, di non essere il supporto necessario per orientare le nostre azioni verso un futuro migliore.

Quanto ancora poco note, per esempio, sono le storie di comunità e di territori considerati ancora oggi marginali dalle geografie politiche ed economiche dominanti. È il caso dell’Alta Murgia, un territorio che è stato per troppi anni preda di tumultuosi mutamenti che hanno compromesso pericolosamente il suo grande patrimonio storico-culturale e i suoi ecosistemi fisici e biologici.

Con i suoi centomila ettari questo territorio nudo, circondato da tredici comuni, è l’ultimo esempio di pseudosteppa mediterranea della Penisola, con più di 1500 specie di piante selvatiche, con 88 specie di uccelli nidificanti tra cui spicca quella del Falco Naumanni le cui colonie migratorie dall’Aftrica sub-Sahariana sono le più importanti del mondo e, per la presenza secolare di innumerevoli masserie da campo e di pecore, rappresenta il maggiore e peculiare sito di archeologia rurale d’Italia.

In questa «area interna» della Puglia centrale, tra l’Appia e la Traiana, almeno a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, si sono vissute esperienze intense, anche molto conflittuali, tra chi voleva destinarla ad area di risulta e chi, invocando altre conoscenze e ragioni, vi si opponeva. Fu il governo italiano a volere che qui fossero collocate le basi per i primi missili atomici. Il 5 settembre 1959, infatti, il personale Usa viene dispiegato in Italia e comincia l’istallazione del «sistema d’arma Jupiter», operazione che si conclude il 20 giugno 1961, quando anche l’ultima base diventa operativa. Prima che nella Turchia, i missili Jupiter vengono istallati, unico sito dell’Europa occidentale, in Italia. Dieci campi di lancio, ciascuno con 3 missili a testata nucleare della potenza di 1,45 megatoni, ovvero con una capacità distruttiva cento volte superiore alle bombe atomiche che rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Oltre le due basi lucane (Irsina e Matera), le altre otto vengono «ospitate» sull’altopiano delle murge baresi, quasi tutte dislocate lungo il tracciato della Via Appia (Spinazzola, Gravina, Altamura, Acquaviva, Gioia del Colle, Laterza, Mottola).

NEL GENNAIO 1963 GLI USA, durante la crisi di Cuba, decidono di smantellare le basi. Nel giugno dello stesso anno, l’ultimo missile Jupiter sarà rimosso dalla Murgia e imbarcato oltre oceano. Questa vicenda, svoltasi nel giro di poco meno di un lustro, sembra non aver lasciato traccia nella memoria dei contemporanei e, a distanza di più di mezzo secolo, di quelle basi, tranne qualche eccezione, non restano che ruderi senza testimoni.

NEL CUORE DEL MERIDIONE D’ITALIA si decise, allora, di collocare 30 bombe nucleari puntate verso l’Est e pronte ad esplodere, anche in loco, così da far sparire dalla faccia della terra ogni forma di vita in un raggio di centinaia di chilometri (nonostante la documentazione italiana sull’argomento resti ancora segretata, si rinvia a L. Nuti, La sfida nucleare. La politica estera italiana e le armi atomiche 1945-1991, Il Mulino, Bologna, 2007, e P. Castoro, La Murgia nella Guerra Fredda, dai missili atomici agli itinerari della pace, Torre di Nebbia, Matera, 2008). Alcuni anni dopo, i missili lasciarono il posto a cinque Poligoni di tiro militare…

FINO AGLI ANNI ’70, infatti, il Patto di Varsavia e il conseguente «pericolo comunista» spingono le Forze Armate italiane e la Nato a guardare al nord est italiano come zona ad alto rischio dove accumulare le principali servitù militari. Con la crisi petrolifera prima e la fine del Patto di Varsavia poi, con il crescere delle tensioni nell’area del Mediterraneo, si assiste ad uno spostamento dell’attenzione della Nato, con la creazione di una task force capace di intervenire nei punti caldi delle nuove tensioni che ha nel porto di Taranto e nell’aeroporto di Gioia del Colle i suoi capisaldi offensivi.
In questo quadro internazionale mutato, vengono riviste anche le servitù militari presenti sull’Alta Murgia: l’esercito ha sempre più bisogno di ritagliarsi uno spazio consistente di territorio e di averlo a propria completa disposizione, dove poter fare esercitare le brigate motorizzate, i nuovi aerei Tornado…

LA PRESENZA COMPLESSIVA delle servitù militari (stabilite dalla Legge 24 dicembre 1976, n° 898 e successive modifiche) si accresce quindi sempre più in tutta la Puglia che, nel giro di pochi anni, diventa una delle regioni più militarizzate d’Italia.

È degli anni ’80 una vasta mobilitazione di agricoltori e allevatori che protestano contro l’espropriazione media di 180 giorni all’anno dei loro terreni e di una presenza militare che rende di fatto impossibile ogni ipotesi di sviluppo agricolo e zootecnico dell’area.

IL CRESCENTE INTERESSE MILITARE all’Alta Murgia si concretizza in una delibera regionale (n° 400 del 23 febbraio 1983) con la quale si destina, a poligoni militari permanenti, un’area complessiva di 14.000 ettari. Una elargizione incomprensibile da parte della Regione Puglia, in quanto le autorità militari chiedevano ufficialmente, nel loro promemoria (1980): «La disponibilità certa e stabile di un poligono di 4000 /4500 ettari» .I poligoni sono quelli di Parisi Vecchio, di Madonna di Buoncammino e di Torre di Nebbia, quest’ultimo di circa 10.000 ettari, nei pressi della polveriera di Poggiorsini. Gli altri due poligoni sono quelli di Sentinella e di Monte Scorzone. L’opposizione a detta delibera comincia a concretizzarsi nella mobilitazione popolare che sfocia in una grande Marcia della Pace nel dicembre del 1985, da Gravina ad Altamura.

È DEL 1986 LA LETTERA di don Tonino Bello, Il sogno di Isaia, firmata da circa 10.000 persone e presentata al Consiglio Regionale e, soprattutto, di un suo documento, firmato da altri sette vescovi pugliesi, Terra di Bari, terra di pace, che trova uno straordinario consenso. La grande seconda «marcia per la pace» Gravina-Altamura del 19 dicembre 1987, organizzata dal Coordinamento contro la Militarizzazione e per lo Sviluppo dell’Alta Murgia, registra un coinvolgimento di massa. La manifestazione riesce, tuttavia, solo a congelare l’esproprio ma non ad abrogare la delibera regionale. Da quel momento in poi l’impegno dei Comitati territoriali dell’Alta Murgia (CAM) e del Centro Studi Torre di Nebbia, è consistito principalmente nel cercare di individuare le linee di un progetto di sviluppo eco-compatibile in grado di rispondere alle esigenze di tutela del territorio e alla vocazione di pace delle popolazioni che lo abitano. In questa direzione si sono mosse le altre due Marce Gravina–Altamura, la prima l’8 novembre 2003, con la partecipazione di circa 15 mila persone, e la seconda, il 14 maggio 2004, con oltre 10 mila.

QUESTA LUNGA VERTENZA contro i poligoni si è intrecciata con altre gravose emergenze (spietramento selvaggio delle superfici calcaree, cementificazioni inutili, varie forme di inquinamento come il caso «Murgia Avvelenata» che nel 2003 balza alla cronaca nazionale) contro le quali, in maniera ostinata, si è mosso un vasto schieramento di forze politiche e sociali che ha contribuito alla crescita di una maggiore consapevolezza tesa a tutelare lo straordinario patrimonio storico-architettonico e ambientale dell’Alta Murgia, perseguendo un progetto di grande rilievo politico e culturale che ha conseguito come risultato la istituzione del primo parco rurale d’Italia.

UN PARCO NATO NEL 2004 e che, tuttavia, non è cresciuto abbastanza finora nella direzione auspicata. L’Alta Murgia continua a leccarsi le sue ferite, a partire dalla presenza delle servitù militari la cui superficie copre quasi un terzo dei 68 mila ettari dell’area protetta nazionale. Insomma in un parco in cui, giustamente, è vietata la caccia, si spara (non sappiamo bene cosa e come) in grande stile e per molti giorni all’anno, condizionando pesantemente le attività agro-pastorali e turistiche e compromettendo la necessità di tutela di un’area sottoposta anche ai vincoli europei SIC e ZPS. Risolvere con urgenza tale contraddizione rimane perciò uno degli obiettivi primari che impegnano ancora oggi l’Ente parco e i CAM al fine di sottrarre l’area protetta alle logiche della guerra permanente e preventiva.

* Centro Studi Torre di Nebbia-Cam