La cronaca romana ha decisamente voltato pagina dopo l’inglorioso epilogo del Sindaco Marino. Il lavoro del Commissario Tronca, l’investimento – non solo simbolico – di Renzi sul presunto volano del Giubileo, la nuova paura globale che cala sulle città d’Europa hanno già proiettato la capitale verso il proprio prossimo futuro amministrativo, sgomberando il campo da giudizi di merito sull’ultima avventura amministrativa romana. Almeno questo è l’obiettivo di Renzi: cancellare il ricordo del “disastroso” Marino e iniziare una nuova “vincente” affabulazione su Roma. A ben vedere, chi si candida a costruire una proposta di governo per la città non deve prestare il fianco a questi giochi di prestigio, ma ha il dovere di tracciare un bilancio dell’esperienze che ci lasciamo alle spalle. La parentesi del Sindaco marziano ci consegna la radiografia di un’azione amministrativa che si è barcamenata fra ambiziose operazioni di facciata – come la pedonalizzazione dei Fori – e operazioni di piccolo cabotaggio che non hanno sciolto i nodi irrisolti della città – basti pensare alla drammatica questione dei residence per l’emergenza abitativa. In definitiva, un bilancio mediocre come quello di tante altre fasi amministrative della città. Eppure, l’ordinarietà a Roma si è fatta tragedia quando a fianco di tale mediocrità si è disvelata la degenerazione consociativa di Mafia capitale, il collasso dei partiti politici, l’assenza dei movimenti sociali, l’involuzione della rete di comitati civici, la debolezza e l’insipienza delle forze produttive cittadine. Imputare la responsabilità di questa catastrofe civica e sociale all’inettitudine di un uomo solo allo sbando è un esercizio che lasciamo ad altri. È opportuno, invece, provare a rintracciare le condizioni strutturali che hanno preparato il terreno a tutto questo. In tal senso ci viene in aiuto l’analisi di Walter Tocci con le sue “note sulla politica romana”. È indiscutibile che la crisi attraversata dalla capitale affondi le radici in fenomeni sia contingenti che strutturali. Pertanto, il declino a cui sembra abbandonata la città è frutto – in sintesi –  della riduzione della spesa pubblica, dell’esaurimento della rendita immobiliare, della contrazione dei consumi. Il centrosinistra romano ha – dapprima negli anni Novanta, poi nella sublimazione del Modello Roma – il più possibile rinviato la rigenerazione di un’idea di città, divenuta oggi improrogabile nell’era della ristrutturazione globale dell’austerità neoliberista. Quindi, la deflagrazione del vicenda romana ha tanto a che fare con una degenerazione etica e morale delle forze cittadine, quanto con il collasso del sistema produttivo e sociale del tessuto urbano. Se accettiamo i presupposti di questa analisi, non possiamo illuderci di risolvere la futura vicenda politica romana – lasciando il campo al partito della Nazione – con bizzarre alchimie ed estemporanee candidature a sinistra, tanto più dinnanzi a un passaggio elettorale che rischia di consegnare la città a un ballottaggio fra il populismo xenofobo di Grillo e il populismo fasciomafioso degli eredi di Alemanno. Occorre, piuttosto, rifondare un progetto per la città. Su questo la provocazione di Tocci va fino in fondo, assumendo il tratto distintivo dei tempi della verticalizzazione del potere: per salvare Roma, occorre uno scossone istituzionale. Abolire il Comune, dare pieni poteri ai quindici municipi romani, creare la città-regione con poteri legislativi e capacità di agire politiche economiche.  Una rivoluzione dall’alto, un’opera di ingegneria istituzionale certamente non rinviabile che rischia, però, di non fare i conti con l’anima della città. È un fatto che la politica in tutte le sue forme – istituzionali o diffuse – abbia adbicato in questi anni alla cura dell’anima di Roma, mentre esistono decine di iniziative – locali e cittadine – di straordinario impegno solidale e di nuovo protagonismo civico. Per rigenerare un nuovo modello di città, assumendo i limiti dello sviluppo urbano e superando il “debito mentale” del centrosinistra,  dovremmo metterci in ascolto di queste forze e dei territori della grande area metropolitana. È questo lo shock capitale che servirebbe in questa povera Roma: produrre un’inversione di dominanza tra strettoia politica e maggioranza sociale, dove la rappresentanza – spesso tradita – riscopra le ragioni sociali della sua esistenza. Senza mai smettere l’ambizione di alimentare un campo largo di istanze, alleanze, soggettività, infine idee per un nuovo progetto alternativo di città, sottraendolo alle incompetenze che lo tengono ostaggio di un ceto politico senza più popolo né interesse. Ora, avremmo bisogno di un’offensiva sul piano della sperimentazione di forme nuove di rappresentanza effettiva, dove le forze politiche – assunta la consapevolezza dei propri limiti – non dovrebbero abbandonare la nave, ma iniziare a concepire il tratto costituente di tale conflittualità. Dovrebbero favorire e aprire il campo al lavorio delle istanze diffuse nella costruzione di una grande alleanza civica e sociale per una consiliatura che sia anche costituente – e qui torniamo alla riforma istituzionale di Roma Capitale, ma che ruoti attorno a municipalismo, open-data, partecipazione e autogoverno – e, soprattutto, per non lasciare Roma alla Vandea populista. Qui si iscrive il nostro impegno anche sul terreno istituzionale del governo dei municipi, ad oggi, ultimi soggetti di democrazia rappresentativa a Roma. Espressioni di un’alleanza politica che, seppur minata dai violenti diktat di Renzi, attualmente governa le istituzioni di prossimità in città che hanno l’onere e l’onore di giocare il ruolo di “animatori democratici” mantenendo vivo il dialogo nei territori con i corpi intermedi, con la società civile organizzata, con le nuove forme di civismo e partecipazione, con la disperazione sociale, con le forze economiche e con i singoli cittadini. Nessi indispensabili per ricostruire radicamento sociale e vincolo di popolo necessari a rigenerare idee per la metropoli che verrà, sfidando – nel campo largo del centrosinistra romano – le logiche del partito della Nazione e così il dilagamento delle forze populiste in città. *Assessore alla cultura Municipio Roma VIII