Piccola, sporca, impaurita e quasi indistinguibile da un maschio con i suoi capelli tagliati a zero, Eleven (Millie Bobby Brown) in Stranger Things dei fratelli Duffer è senz’altro una delle protagoniste femminili più iconiche delle serie tv degli ultimi anni. Nella sua prima apparizione «è una visione insieme antica e nuova, che ci parla anche se non ne capiamo la ragione e che riconosciamo», scrive Marina Pierri nel suo Eroine – Come i personaggi delle serie tv possono aiutarci a fiorire (Tlon, pp. 267, euro 16). Ma da dove viene, e dove porta, questo riconoscimento? Il viaggio dell’eroe è un percorso dell’immaginario indissolubilmente legato alle narrative occidentali: la chiamata, l’eroe riluttante, il viaggio, il ritorno, sono tutti archetipi che conosciamo di cui sappiamo tracciare istintivamente la progressione.

Nell’era della cosiddetta peak tv, questi archetipi sono scivolati in modo naturale nelle narrative televisive, ma è il viaggio dell’eroina all’interno delle serie televisive quello che cerca di tracciare Pierri, senza l’intento di farne un catalogo complessivo eppure, come scrive nella sua prefazione Maura Gancitano, scattando una «fotografia della narrativa televisiva nel presente, nella sua forma oggi più evoluta». In primo luogo perché la televisione è un territorio di maggiore inclusività rispetto al grande schermo: nel 2018 i personaggi femminili ammontavano al 45% del totale, mentre «dietro le quinte» il 31% delle donne «rivestiva una posizione chiave nella produzione di una serie tv».

UN TERRENO FERTILE per la messa in scena e il riconoscimento degli archetipi dell’eroina, che Pierri analizza attraverso alcune serie recenti, da Stranger Things a The Unbreakable Kimmy Schmidt, da Gomorra a The Oa, Pose e Glow. Per farlo, si serve della prospettiva offerta dal femminismo intersezionale e del lavoro e delle categorie elaborate da studiose come Carol S. Pearson e Jean Shinoda Bolen, a partire dalla consapevolezza della non sovrapponibilità del viaggio dell’eroe e quello dell’eroina. Gli archetipi «fotografati» da Pierri – come quello della Maga Prairie Johnson (Brit Marling) in The Oa, dell’Orfana Eleven o della Guerriera Angela Abar (Regina King) in Watchmen – sono sempre rivolti all’interiorità della spettatrice, a stimolare un riconoscimento sulla base di un «ascolto attivo» che sostituisca l’identificazione e la relatability nella fruizione della storia, le immagini, i personaggi – che costruisca un viaggio dell’eroina in cui ritrovare i cardini dell’esperienza femminile.

A OGNI ARCHETIPO «guida» – «che si mostra nelle sue doti più fertili» – ne corrisponde uno «ombra» – «che incarna aspetti sanzionati socialmente oppure deleteri per il nostro benessere» – come la Maeve Millay (Thandie Newton) che nel mondo sintetico di Westworld si ribella al controllo operato dall’esterno sulla propria coscienza diventando una spietata assassina, incarnando così l’ombra dell’archetipo dell’Angelo custode. Non una progressione teleologica ma una discesa nel profondo della soggettività femminile, un percorso di riconoscimento di sé e delle altre – la ricerca di una voce nel linguaggio dominato dagli uomini.