Nessun pittore può sfuggire dalla lusinga ( e dalla necessità) di dedicarsi, ad un certo punto della sua esperienza e della sua maturità, all’attenzione di volersi interessare, ex abrupto, alla ritrattistica.

La fotografia, il cinema, la Tv hanno sensibilizzato l’artista di oggi ad occuparsi della riproduzione in pittura del volto di personaggi noti nel campo culturale, nello spettacolo e anche in politica.

Ma quali sono le vere scelte operate dall’autore relative ai soggetti da ritrarre?

La preferenza, in genere, va per l’elemento femminile forse perché essendo l’arte impegnata nella ricerca e nella pratica del “bello”, la donna si presta, preferibilmente e tradizionalmente per essere presa in considerazione, specie se gode delle prerogative di una giusta regolarità nei suoi attributi di carattere somatico e nella sua generalità.

Ecco che puntualmente protagonista nell’ universo pittorico di Sergio Vacchi, si presenta proprio il personaggio femminile nella figura famosa e quasi mitica star dello schermo, Greta Garbo ed altre fra cui Marlène Dietrich che sono le maschere che scandiscono la definizione dei quadri e il loro svelamento.

Intanto c’è da dire che la pittura di Sergio Vacchi è strettamente collegata con una sorta di astrattismo naturalistico (vd. il riferimenti a Ennio Morlotti) quindi ad un andamento che si appoggia evidentemente alla corrente postcubista.

Sergio Vacchi nasce a Castenaso (Bologna) nel 1925 ed effettua durante l’arco della sua vita una serie ininterrotta di esposizioni (come la serie dei manifesti confezionati da Vacchi, degni di attenta considerazione) attraverso le quali ha modo di conoscere e contattare eminenti critici d’arte fra cui Enrico Crispolti, Dario Micacchi, Antonio Del Guercio, Francesco Arcangeli, Giorgio di Genova, Angela Vattese, Roberto Tassi il quale scriverà su Vacchi un pezzo di una lucidità straordinaria intitolato “Apocalisse in figure. Scritti per Sergio Vacchi” a seguito del quale Vacchi stesso dichiarò “(…) specie di volta della mia poetica dove le stelle di riferimento sono la Garbo, la Dietrich, mia madre, mio padre, Proust, Kafka, Beckett, Pirandello e altri creando una sorta di cosmologia, tuttora valida, di ritratti che sono poi le maschere che scandiscono la definizione dei quadri e il loro svelamento”.

Ebbene, per continuare il discorso sulla ritrattistica, Sergio Vacchi non sfugge a questa realtà tanto che assume spesso il ruolo di ritrattista in particolare, diretto ad una fulgida bellezza, la più nota e la più bella che si possa immaginare nell’ambito dell’arte cinematografica: la grande diva Greta Garbo.

Apprezzai subito l’indirizzo vacchiano quando, tanti anni fa, l’artista organizzò una mostra espositiva delle sue opere nel Palazzo Pitti in Firenze. E lì c’erano esposti già alcuni ritratti della Divina Garbo.

Chissà perché allora, nel rimanere ammirato e meravigliato alla vista di questi stimolanti dipinti, non avvisai la voglia e lo stimolo e comunque la spinta a scrivere qualcosa su di essi? Forse aspettavo di ammirare un’altra serie di queste affascinanti opere, o forse non mi contentavo di quelle esposte poiché, dato il loro particolare pregio, me ne aspettavo, nel giro di poco tempo, altre magari riproducenti altri volti, noti nel campo dello spettacolo dal momento che il cinema rappresentava per me l’interesse prioritario, quindi il desiderio di ammirare ancora altri quadri per soddisfare la mia specifica, ingorda curiosità.

Certo, la grande quantità di lavoro svolto da Vacchi nel campo della pittura, stimola, a questo punto, a parlare di tanti, di un infinità di campioni che l’autore ha eseguito in tanti anni ( oggi Vacchi ha 89 primavere) tutti di continuo impegno a cominciare dall’età di 19 anni quando, iscrittosi all’Università presso la Facoltà di Giurisprudenza, abbandonò gli studi (dopo aver sostenuto solo 2 esami) per dedicarsi all’Arte figurativa.

Anche lui, come tutti gli artisti, ebbe due numi tutelari dall’opera dei quali prese lo spunto per proseguire la sua opera: queste fonti ispiratrici furono Giorgio Morandi e, per la storia e per la critica d’arte, Roberto Longhi.

L’aver tenuto presente l’insegnamento di queste due prestigiose figure giovò senz’altro all’artista durante tutto il corso della sua vita.

Nato nei pressi di Bologna si trasferì, più tardi. a Roma dove restò per diversi anni prima di costituire la Fondazione, nell’ ottobre del 1997, a lui intestata con sede nell’affascinante castello di Grotti presso Siena.

Durante il soggiorno romano, una volta inserito nell’ambiente dei pittori, conobbe molti addetti ai lavori: esecutori e critici d’arte fra cui l’assiduo Enrico Crispolti, il quale ha dedicato a Vacchi un documentatissimo, grande libro frutto di una ricerca straordinaria sull’opera dell’amico pittore.

Cominciò con il postcubismo picassiano per approdare poi ad un nuovo stile che, pur risentendo di quest’inizio, seguì una strada propria che lo distinse fra tutte le correnti allora in atto.

La ritrattistica dunque.

Le sue figure di personaggi noti hanno tutte una caratteristica generale: esse sono pervase da un ricorrente cromatismo scuro, buio che non denotano la presenza di lame di luce sul loro volto a metterne in evidenza le tracce dovute al passare del tempo. Le sue immagini sui ritratti sono spente, senza un sorriso sulle labbra, così come, di prammatica, appaiono realizzate in servizi fotografici nelle riviste per gente comune, sempre sorridenti nel mostrare immancabilmente due file di denti bianchi e smaglianti. Basti ricordare, per dimostrare questo costume, il ritratto di Francis Bacon o quello di Borges, perfino quello di Fellini al quale non si addice granché quella posa con dominante di generale cromatismo in grigio: tutte impostate alla “serietà”, essa stessa esprimente atteggiamenti di monotonia, di tristezza insomma, di stato di ansia e di occulta preoccupazione.

Si salva da questa triste atmosfera il ritratto di Virginia Wolf la quale, con la sua veste rossa, ravviva l’insieme rendendo ancora più deciso quel lieve sorriso pervaso, questa volta da una luce, proveniente , da destra, ad addolcire quell’atteggiamento riflessivo e quasi enigmatico.

Ma è, dunque, Greta Garbo a destare l’arcano interesse di Vacchi:

Negli ultimi dieci o quindici anni, scrive Vacchi, ho rincorso Greta Garbo, l’ho chiamata, l’ho invocata, l’ho pregata di fermarsi, di farsi raggiungere, l’ho ritratta innumerevoli volte come Signora delle camelie, come regina Cristina,. come Maria Valeska. Perché, dunque, Greta Garbo

e non un’altra, o un’altra ancora? In verità Greta Garbo si muove ancora oggi sullo schermo in modo che non sai mai se quando muove gli occhi, non siano invece le sue mani a muoversi , o se il suo collo non sabbia la flessibilità dei suoi capelli. Quando Garbo si avvicina è come se si allontanasse perdutamente, definitivamente, e quando ride è come se si accendesse la luce e la spegnesse per il piacere suo, come fanno alcun bambini bizzarri”.

Ma non è solo la Garbo a destare un particolare interesse per il Maestro.

Altri ritratti presenta l’opera omnia del Pittore. Fra le donne ammirate ve ne sono altre. Per esempio, come già si è accennato, Marlene Dietrich nel dipinto intitolato “In partenza per la grotta” (2002) dove la Garbo, provenendo sempre da destra, appare dietro la spinta di E.T.

È interessante in questo dipinto la posizione di Marlene dove si possono intravvedere le gambe scoperte in ossequio alla posa più famosa, ma simile, di Marlene Dietrich (come quella, memorabile , della gonna che svolazza verso l’alto che ritrae Marylin Monroe) : un gesto che diventa un’icona di universale acquisizione.

Tuttavia Greta Garbo in questa composizione resta al centro del dipinto con in testa un cappellone (tipico della sua foggia abituale) a fare da cornice al volto che resta, appunto, nel centro geometrico del dipinto.

Ciò detto proviamo a domandarci anche noi perché Greta?

A questo punto bisogna rifarsi alla sensibilità del pittore contemporaneo nei confronti della macchina per il cinema, che fa da padrona nell’apprezzamento dell’immagine che risulta con l’uso della macchina fotografica, o della Tv oltre che del cinema.

Senza questa sensibilità è difficile realizzare un film. Poiché il quadro non è che la sintesi di una sequenza cinematografica con all’interno, sebbene con elementi fissi, contenga qualità tali da immaginare che tutto si muova in questa inquadratura, che vi sia in essa inglobato ciò che esiste prima e ciò che esiste dopo di essa, cioè il “pro -filmico” e il “post-filmico”.

Ma Vacchi non si ferma a ritrarre, fra i divi dello schermo, l’immagine di Greta Garbo (insieme, a quella di Marlene Dietrich). Vi sono tanti altri personaggi noti per esempio nel campo della cultura ad essere oggetto di elementi per un ritratto.

Samuel Beckett visto di profilo in un atteggiamento di sufficienza, pare avvolto in un’aura grigia e ottusa che finisce per denotare l’isolamento e, considerato tutto, l’austerità. Allo stesso tempo si presenta Lorenzo Viani, seduto su una poltrona in riva al mare e sullo sfondo di un cielo carico di nuvole minacciose perciò circondato da un’ atmosfera che richiama la solitudine e le proprie certezze.

Fra la grande messe di ritratti ve n’è uno su Marguerite Yourcenar ( insignita negli anni Settanta del Prix Nacional des Lettres (1974) e del Grand Prix de l’Academie Française (1977), leggibile attraverso le condizioni delle mani rappresentate in primo piano, lunghe, magre, rattrappite. così come si mostra la protagonista sullo sfondo di un cielo plumbeo.

Vi sono poi una serie di quadri che riproducono Nostradamus: un effige dal naso pronunciato come, in genere tutti gli appartenenti alla religione ebraica. Si tratta di un disegno di profilo che nasconde molti comportamenti negativi di una vita spesa a sostegno della collettività.

Ancora tanti ritratti annovera la produzione dell’instancabile Vacchi: Otto Dix, Renato Guttuso, Corrado Cagli, Brindisi, D’Annunzio, Olivier, Morandi e così via.

Tuttavia per avere chiara l’arte di Vacchi occorre, ovviamente, prendere in esame anche quelle opere che riguardano aspetti e problemi della società contemporanea quindi certe condizioni reali del mondo in cui viviamo. E allora la visione non può che prendere il verso di una vera e propria apocalisse come nel caso di una delle ultime sue opere che rappresenta una tavola come quella della celebre pittura di Leonardo senza però nessun commensale, completamente vuota. In essa appare evidente una scenografia nuda di questo cenacolo con un grande tavolo dei commensali fasciato da una tovaglia bianca mentre al centro (al posto di Gesù) spunta una mano con una stimmata che indica, con l’indice, la direzione verso l’alto mentre due strane forme di due animali femmina, uno per parte, sembrano le uniche forme viventi in quell’arengario misteriosamente deserto che infonde smarrimento e angoscia.

”Fine millennio 1999” è un’altra eccezione realizzata con l’attuazione di elementi che non rappresentano se stessi ma che contengono figure retoriche su cui ad un termine se ne sostituisce un altro legato al primo.

Perché l’insieme è tutto un complesso di soggetti similari che prendono un doppio significato.

Allora ecco che “il Bello” di questi quadri non è che la struttura LOGICA che li sorregge vale a dire la complessità armonica degli elementi distribuiti in maniera proporzionale entro la cornice del quadro.

Vacchi per questo è un Maestro. Egli tende sempre a realizzare un’adeguata proporzionalità degli elementi. Non a caso egli costruisce i suoi ambienti in un piano che ha solo l’idea della prospettiva ma sembra quello in essere nella pittura pre-rinascimentale quando non si conosceva ancora le regole della prospettiva in pittura,

Un altro motivo ricorrente nella pittura di Vacchi è la sua immagine riprodotta in funzione di protagonista e non, in tanti suoi quadri. Solo che queste trasposizioni dalla realtà alla figura, questi autoritratti subiscono un passaggio che , di proposito, li altera e, come esige il suo stile e la sua arte, li umilia al punto tale da suscitare , puntando su quei volti e quei corpi, un atteggiamento legittimo di meraviglia e di emergente stupore quindi il desiderio di scoprire quali possono essere le ragioni di un modo di procedere apocalittico e drammatico dove l’energia fantastica e irreale costituisce il tramite essenziale di queste trascinanti opere firmate dal grande Sergio Vacchi.

L’anno prossimo Sergio Vacchi raggiungerà la bella età di 90 anni.

Voglio essere il primo a fargli gli auguri di buona salute e di buon lavoro…ancora.