Un’Europa fatta da tanti Paesi è un valore ma ci sono scelte che dovrebbero andare oltre al diritto dei singoli, senza confini e senza pregiudizi, senza condizionamenti legati agli interessi interni. La crisi climatica non può essere un problema solo di alcuni quando siamo poi tutti a pagarne le conseguenze.

Tutti abbiamo sperato in un cambio di passo significativo quando abbiamo letto il Green Deal proposto dalla Commissione europea, e lo abbiamo ripetuto a sfinimento. Ce ne siamo convinti ancor di più con le strategie legate all’ambiente e all’agricoltura che ci hanno fatto immaginare di essere giunti al momento giusto per cambiare rotta.

Nel frattempo, sono arrivati i giudizi della Corte dei conti Europea sui nostri comportamenti del passato, severi nel dire che non abbiamo saputo interrompere la perdita biodiversità, mitigare la crisi climatica, distribuire equamente le risorse. Un diffuso fallimento.
Chi oggi governa le scelte per il futuro dell’Europa avrebbe dovuto tenere conto dei risultati del passato per porsi obiettivi certi, quantificati, monitorabili attraverso puntuali indicatori. E invece, l’accordo raggiunto dal Trilogo sulla Pac (politica agricola comune: il 39% del bilancio dell’Ue) sembra un semplice accordo di mediazione per uscire dallo stallo in cui si erano fermati alcune settimane fa.

Tutti contenti adesso a dire che è la migliore Pac che si poteva produrre, che l’ambiente sarà al centro della politica agricola europea, che la lotta al cambiamento climatico è iniziata. Eppure, la delusione è grande e diffusa, l’occasione ancora una volta è persa e questa volta potrebbe essere molto più grave di sempre.

L’Europa ha deciso di non decidere, cioè di non assumere posizioni davvero vincolanti per i singoli governi. Facile è oggi dire che la partita si gioca a livello di stati membri, scaricare la possibilità di aggiustare il tiro sui Piani Strategici Nazionali attraverso i quali l’Ue ha inteso condividere una bella fetta di responsabilità sull’individuazione delle strategie. Tuttavia, con una Pac senza vincoli precisi e obiettivi puntuali sarà il caos, ed è impossibile rimanere fiduciosi, ogni stato membro potrà fare scelte autonome e pochi saranno i margini di intervento della Commissione.
Manca del tutto un vincolo tra la Pac e il Green Deal. Ci sono obiettivi molto deboli per l’ambiente e la biodiversità e ogni stato potrà rendere inefficace qualsiasi misura. La riduzione dell’impiego di pesticidi coerente con la Farm to Fork non è così esplicita, saranno ammessi investimenti su modelli agricoli non sostenibili, senza contrasto alle monocolture e all’allevamento intensivo, incuranti delle esigenze di conservazione dei suoli e delle risorse idriche. Nessun reale impegno per il rafforzamento dell’agricoltura biologica. Anche il netto riferimento alla condizionalità sociale, incredibilmente messa in dubbio nelle ultime settimane, appare molto timido nei tempi di applicazione, come se la tutela dei diritti dei lavoratori in agricoltura possa essere più o meno importante a seconda del momento.

La protezione dell’ambiente costruita attraverso gli ecoschemi è rimasta ancorata a percentuali troppo basse per essere incisiva e include un po’ di tutto mettendone a rischio l’efficacia. La corsa all’agricoltura di precisione, ad esempio, rischia di scavare ancora di più il solco tra agricoltura industriale e agricoltura di piccola scala poiché non è accessibile a tutti, determinando disparità dovute a costi elevati o a sistemi di protezione brevettuale.

Non c’è alcuna garanzia di una reale equità nella distribuzione delle risorse, i piccoli agricoltori sono destinati a rimanere ancora una volta ai margini, l’agricoltura industriale godrà di buona parte dei benefici e la vera transizione agroecologica rimarrà solo un mantra che non riesce a trovare concretezza nella politica vera, quella che investe soldi per ottenere risultati. È facile dunque cedere alla tentazione di pensare che ancora oggi chi decide risponde di più al mondo della grande industria agroalimentare che alle esigenze della società che chiede concrete misure di contrasto al cambiamento climatico e obiettivi realistici di transizione ecologica. Senza scaricare le responsabilità su altri e riconoscendo, una volta per tutte, che le future generazioni meritano un’opportunità.