La «rigenerazione» del Pd non sarà un pranzo di gala per Nicola Zingaretti. Da ieri, e cioè dal giorno dopo il risultato della Basilicata e a venti giorni dalle primarie, i renziani doc hanno aperto ufficialmente il «fuoco amico». Quello che Renzi giura di non voler usare contro il nuovo segretario. In Basilicata il Pd ha faticosamente guadagnato il secondo posto. Altrettanto era successo nelle precedenti regionali. «Se il nuovo Pd si limita a ricompattare il mondo alla sua sinistra e non si pone il problema di recuperare voti in uscita verso la Lega» scrive proprio Renzi , «potrà ottenere il sospirato sorpasso su M5S alle europee ma non porsi come reale alternativa di governo» alle politiche. In mattinata Luciano Nobili aveva aperto le danze: «Da quando Renzi si è dimesso abbiamo perso Friuli, Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Trento e Bolzano. Ma il problema era il carattere di Renzi, ovvio. E finalmente oggi, senza di lui, tutti felici per il secondo posto in Basilicata: felici e perdenti».

Che le sconfitte elencate siano frutto, fra altri fattori, anche della gestione renziana non è neanche preso in considerazione. Dopo la disfatta delle politiche, l’imperativo categorico per il nuovo segretario è stato innanzitutto quello di evitare la frana. «In Basilicata eravamo arrivati al punto di presentare 4 simboli diversi, anzi per la verità quello del Pd neanche era stato presentato», spiega Zingaretti. «Insieme questi 4 simboli raccolgono circa il 23%, rispetto al 16% delle politiche. È ovvio che bisogna cambiare, bisogna continuare verso un processo di rafforzamento e di unità del Pd oltre che a un allargamento delle alleanze». Del resto nelle regioni citate, fanno notare fonti parlamentari, i presidenti Pd non si sono ricandidati, segno di mandati non chiusi fra gli applausi. E in Basilicata l’uscente Marcello Pittella è stato costretto al passo indietro da un’inchiesta.

Zingaretti può vantare di aver ristabilito lo scontro fra centrosinistra e destre riducendo i 5 stelle al terzo irrilevante, in un tempo breve, inimmaginabile all’indomani del 4 marzo ’18. D’altro canto alle europee il proporzionale non favorirà il recupero di percentuali dalle piccole liste ’alleabili’, come è successo alle regionali. Zingaretti sa che il suo primo vero banco di prova sarà il voto del 26 maggio e per fare presto – le liste vanno consegnate a metà aprile – oggi ha fatto convocare la direzione. Chiederà un «mandato chiaro» per proseguire la ricucitura delle alleanze. Per le europee (il simbolo Pd sarà affiancato da Siamo europei), per le amministrative. E per il voto in Piemonte dove il Pd non parte bene. Un percorso a ostacoli, per Zingaretti, ampiamente annunciato.

La novità è invece il fuoco amico renziano. Non è ancora chiaro se la corrente si «peserà» nelle liste europee. Al Nazareno circola la convinzione che nessun esponente vicino all’ex leader si candiderà per non condividere in nessun modo il risultato. Bene che vada, sarà comunque lontano dall’oltre 40% del ’14. La pax zingarettiana è durata poco. Nel week end anche l’ex presidente Orfini ha sfidato il neosegretario a imbracciare la battaglia per lo ius soli e quella per la cancellazione degli accordi con la Libia sui migranti. Due provvedimenti che i governi a trazione renziana si sono ben guardati di affrontare – i primi accordi con la Libia anzi li ha stretti l’allora ministro Minniti – e che ora vengono chiesti al Pd all’opposizione.

Ma è anche vero che la narrativa delle ritrovate coalizioni non basterà a riavvicinare gli elettori in fuga: la «rigenerazione del Pd» promessa dovrebbe andare più a fondo. Zingaretti annuncia per oggi un’analisi del voto della Basilicata. «Sono stati eletti 6 consiglieri della Lega, 5 del Pd e 3 del M5S. Gli altri a seguire (20 eletti in tutto). M5S è terza forza politica. I numeri parlano da soli», spiegavano ieri dallo staff. Ma se l’intento dell’analisi è serio, il recupero di qualche punto è solo un argomento di consolazione. Lo spiega Emanuele Macaluso, autorevole ex dirigente Pci, proprio sul caso Basilicata e sul potentato dei Pittella: «Se Zingaretti e il gruppo dirigente del Pd non affronteranno sul terreno della politica e dell’organizzazione del partito la questione meridionale non sarà certo, il suo, un partito della sinistra democratica», scrive su facebook, «Non penso che sia venuto il momento di cacciare dal partito i notabili – queste sono sciocchezze – ma se il Pd si identifica con loro, come avviene oggi, il cambiamento non ci sarà. È questo l’appuntamento fondamentale, a mio parere, su cui si misurerà il cambiamento annunciato da Zingaretti».