Senza più Rita, ma tantissimi giovani per Paolo Borsellino
Legalità Palermo e lo stato in piazza per il magistrato trucidato dalla mafia con la sua scorta. Ventisette anni dopo la strage, non si placa il desiderio di verità e giustizia
Legalità Palermo e lo stato in piazza per il magistrato trucidato dalla mafia con la sua scorta. Ventisette anni dopo la strage, non si placa il desiderio di verità e giustizia
Chi ha ordinato le stragi del ’92? Chi c’è dietro la mano di Cosa nostra? Quali apparati dello Stato hanno coperto o peggio ancora collaborato all’assassinio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e degli otto agenti delle scorte? Chi e perché ha depistato le inchieste?
Sono gli interrogativi ancora irrisolti su cui, a fatica, dopo 27 anni i familiari delle vittime cercano risposte con la procura di Caltanissetta impegnata nel processo sui depistaggi con tre poliziotti, che facevano parte della squadra dell’allora capo della mobile Arnaldo La Barbera, imputati per calunnia per avere pilotato Vincenzo Scarantino, il falso pentito che mandò al 41bis degli innocenti.
Verità e giustizia sono le due parole pronunciate nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio, dove furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Senza Rita Borsellino, che dal ‘92 dedicò la sua vita ai giovani insegnando i valori della legalità, la famiglia s’è stretta attorno ai ragazzi impegnati nelle associazioni nel ricordo del giudice e dei poliziotti uccisi con la messa nella chiesa di San Saverio e con le celebrazioni in via D’Amelio, dove alle 16.58 del 19 luglio del ’92 esplose l’autobomba piazzata davanti alla casa della madre del magistrato.
A SORPRESA, DON COSIMO Scordato durante l’omelia celebrata assieme a don Luigi Ciotti, ha proposto la beatificazione «per Paolo Borsellino e per le tante persone che hanno servito la comunità e lo Stato». La procedura canonica ipotizzata si richiama a quella che ha portato alla beatificazione di Rosario Livatino, il «giudice ragazzino» ucciso dalla mafia nel 1990. Citando Gesù, il sacerdote ha detto: «Beati i perseguitati a causa della giustizia».
E ha richiamato i valori della testimonianza e del «martirio» di Borsellino: purezza, trasparenza, mitezza. «Sono – ha aggiunto – beatitudini che hanno a che fare con la vita di ogni giorno. Dobbiamo quindi superare i modelli ecclesiastici di santità e sentirci tutti debitori per una testimonianza di resistenza diventata un atto supremo di libertà. Tutti dobbiamo anche contribuire a portare a verità le vicende di cui uomini come Borsellino sono stati protagonisti».
IN PRIMA FILA, NELLA CHIESA affollata da magistrati e uomini delle forze dell’ordine, c’erano due dei figli di Borsellino, Fiammetta e Manfredi. In questa chiesa barocca del Seicento, il magistrato partecipava sempre alla celebrazione domenicale.
«Di lui – ha detto don Cosimo Scordato – ho il ricordo di una persona che si dedicava amorevolmente alla famiglia».
UN RICHIAMO FORTE per la verità è arrivato dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Per il presidente «la riconoscenza» verso la figura di Borsellino «e la sua azione non si potrà attenuare con il trascorrere del tempo e appartiene al patrimonio di civiltà dell’Italia, conservato e coltivato specialmente tra i giovani: ed è, questo, un segno di speranza».
Verità che ha invocato, con tono fermo durante la cerimonia nella questura di Palermo, il capo della polizia, Franco Gabrielli, facendo riferimento proprio ai presunti depistaggi e al processo in corso a Caltanissetta dove sono imputati per calunniai tre poliziotti.
«Se tra di noi qualcuno ha sbagliato, se qualcuno ha tradito per ansia da prestazione o per oscuri progetti, siamo i primi a pretendere la verità. E non ci si pari dietro a chi non può più parlare e a scorciatoie». «Non vogliamo verità di comodo», il grido di Gabrielli che ha ricordato che tra le 11 vittime delle stragi «otto appartengono alla polizia di Stato». Perché «se dopo 27 anni siamo ancora alla ricerca della verità – ha sostenuto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, partecipando alla cerimonia in via D’Amelio con tantissimi giovani – vuol dire che lo Stato ha fallito». Ma, ha proseguito il Guardasigilli, «credo nel lavoro dei magistrati che stanno tentando di scoprire cosa accadde realmente in via d’Amelio».
A URLARE ANCORA una volta l’esigenza di verità, usando i suoi toni perentori, è stato Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato. «Come tutti gli anni per noi è un giorno di memoria, di lotta per la verità e per la giustizia – ha detto Borsellino, circondato dalle agende rosse in via D’Amelio – non ci sono navi del ministero per commemorare questa giornata, e non lo dico per polemizzare, ma ci sono le persone che tutti i giorni dell’anno fanno attività di promozione della legalità nelle scuole». E ha aggiunto: «Io sotto processo voglio vedere chi ha preordinato e ideato il depistaggio e voglio che gli organi istituzionali e magistratura indaghino contro quei magistrati che quei depistaggi hanno avallato».
E il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra sempre in via D’Amelio, ha assicurato il massimo impegno: «Questa commissione antimafia ha deciso di avviare la desecretazione di 1.612 documenti ad oggi, ma potrebbero aumentare; rendiamo a tutti gli specialisti, ma anche a tutti i cittadini italiani, la possibilità di cercare di capire cosa sia successo».
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