Disuguaglianze, povertà e clima, temi cari alla sinistra, nemmeno a parlarne. Indulgenza per gli evasori, avversione verso gli immigrati. Di salario minimo neanche a parlarne. Equità fiscale e politiche redistributive non sono contemplate.

Manca uno straccio d’idea su come riparare veramente gli italiani dalla tempesta (inflazione più recessione) che ci viene addosso. Si gioca sull’ambiguità delle parole e sul travisamento della realtà.
Navighiamo a vista in un’emergenza senza precedenti, amplificata dalla guerra, con le casse dello Stato praticamente vuote e con l’Ue incerta e divisa sui provvedimenti da assumere. Non appaiono all’orizzonte provvedimenti somiglianti al Sure e al Next generation Eu. Si capisce soltanto che dal reddito di cittadinanza si passerà all’«evasione di cittadinanza» e che per le promesse elettorali bisognerà attendere. I soldi disponibili vanno sui sussidi.

La gravità e la durata della crisi, insieme al deperimento della democrazia, espongono il nostro paese al rischio di una deriva corporativa e autoritaria. Nel capitalismo italiano, com’è noto, punte di eccellenza e alti livelli di competitività convivono con settori arretrati che prosperano all’ombra della finanza pubblica.
Per chi continua a guadagnare, nonostante la crisi, e per chi detiene rendite di posizione e privilegi da tutelare, l’attuale governo rappresenta l’ancora a cui aggrapparsi. In questa parte non piccola della società italiana i tratti «identitari» della destra italiana trovano riscontro e nutrimento. Non è tempo di riforme serie in materie di fisco, di concorrenza e di giustizia.

Sebbene il governo Meloni si muova nel solco della conservazione (del peggio) dell’esistente, diversi impedimenti oggettivi ne rendono assai accidentato il cammino. Nuovi scostamenti di bilancio rischiano di imbattersi nel giudizio negativo dei mercati finanziari e nell’orientamento, che si fa strada a Bruxelles, di sostituire i vecchi parametri (del rapporto deficit-Pil) con vincoli basati essenzialmente sull’andamento della spesa pubblica.

Da qui, da queste difficoltà, la sinistra deve ripartire, indicando con chiarezza “dove” prendere le risorse per l’emergenza (per la sanità, la scuola e gli altri servizi) e “come” rispondere alla domanda di protezione sociale e ambientale presente nei movimenti di giovani e di popolo.
Non mancano i soldi, non c’è la volontà di prenderli. La ricchezza finanziaria e immobiliare ammonta a circa 10 mila miliardi; pari a 5 volte il Pil. Viviamo in un paese con uno Stato povero e indebitato, da un lato, e con una ricchezza privata smisurata e concentrata in poche mani, dall’altro. Sono censiti 40 miliardari e circa 400 mila milionari, senza considerare quanti sul territorio nascondono al fisco soldi e beni. Tassare chi gode di enormi fortune – spesso non per merito – diventa una battaglia di civiltà e di giustizia distributiva.

La «patrimoniale», contrariamente a quel che si pensa, è una imposta liberale, non di sinistra. Si deve ad Arthur Cecil Pigou, un economista liberale vissuto nella prima metà del Novecento, l’idea di un prelievo del 25 per cento (una tantum) sulla ricchezza. Bisognava risanare il debito della Gran Bretagna, cresciuto in modo esponenziale durante la prima guerra mondiale. E’ un grave errore, per Pigou, pagare i costi della guerra, come di qualsiasi altra emergenza, prendendo molti soldi in prestito e tassando poco la ricchezza. I titoli di Stato, tra l’altro, grazie ai tassi d’interesse, contribuiscono ad incrementare il capitale delle persone facoltose e delle società di intermediazione finanziaria che li acquistano. Nel governo britannico prevalse l’argomento dei conservatori che la tassa avrebbe disincentivato il risparmio e provocato la fuga di capitali. Della proposta non se ne fece niente.

Oggi come allora, si ripresenta la questione di chi debba pagare i costi dell’emergenza economica e sociale. Se non vengono tassate le grandi ricchezze e le imprese che macinano esorbitanti profitti (vedi l’energia, le armi, le banche, le finanza, big pharma, big tech, ecc.), non resta che la prospettiva di tagli pesanti alla spesa sociale e decenni di tassazione sui ceti meno abbienti e sulle generazioni future. Non ci sono alternative.

La lezione di Pigou, conosciuto anche per la teoria delle esternalità negative, resta di grande attualità. Le tasse sulla ricchezza come quelle sull’inquinamento sono, per il professore di Cambridge, uno strumento per mitigare l’impatto negativo della guerra e del modo di produzione capitalistico sulla società e sull’ambiente
L’economia non è una scienza esatta verso cui la politica debba inchinarsi, bensì una cassetta degli attrezzi in cui rovistare per trarne indicazioni valide e giuste. La tassa sul patrimonio, in conclusione, non è un’idea balzana dei comunisti, ma fa parte del migliore bagaglio culturale dei liberali, che la destra italiana volutamente ignora.