Entrambe le parti in causa – da una parte Macron, dall’altra Calenda – dicono di voler fare «prima di tutto gli interessi dei lavoratori». Detto da due liberali convinti, viene subito da chiedersi se sia realmente così e viene il dubbio che sia tutto quanto meno strumentale. La cosa migliore però è sentire cosa pensano i lavoratori: i 2.500 francesi dei cantieri di Saint-Nazaire, vicino Nizza e i 9mila italiani di Fincantieri. Colonizzati e colonizzatori hanno nel pragmatismo la via maestra che perseguono facendosi prima di tutto i conti in tasca. La Cgt – sindacato più rappresentativo – della Loira continua a sostenere di «essere scettica sulla nazionalizzazione perché sia lo Stato che Fincantieri non hanno dato garanzie sul mantenimento dei posti di lavoro. Vogliamo un azionista industriale perché da solo lo Stato non può costruire navi mentre la situazione dei cantieri è sempre peggiorata sotto le ultime quattro proprietà».
SE I FRANCESI vogliono giustamente tutelare il loro posto di lavoro, per i 9mila lavoratori italiani di Fincantieri – erano circa 13mila nel 2009 – la vicenda ha una rilevanza relativa. «In cantiere se ne parla, ma non così tanto», racconta Bruno, operaio da 20 anni nel bacino di Ancona. «Di sicuro non siamo scandalizzati del fatto che il governo francese voglia nazionalizzare i cantieri per salvaguardare i posti di lavoro, magari lo avesse fatto il nostro negli anni più duri della crisi». Appunto. Gli «anni più duri» sono passati: quelli dal 2009 al 2013 in cui si faceva cassa integrazione continua e invece degli attuali 1.500 euro se ne portavano a casa mille». E così «se è vero che l’operazione renderebbe Fincantieri più forte», non avrebbe comunque un impatto immediato sui cantieri italiani. «Ad Ancona, come in quasi tutti gli altri stabilimenti, abbiamo commesse assicurate fino al 2020: stiamo facendo delle ripetute, più modelli della stessa nave da crociera, una in consegna a settembre, una in bacino e una in costruzione, tutte di taglia media», spiega Bruno, navi molto più piccole dei giganti che si costruiscono a Saint-Nazaire (sia da crociera che militari), di grandezza quasi doppia di quelle sfornate a Monfalcone, il cantiere italiano più grande. Insomma, ad Ancona c’è stata molta più discussione per il contratto aziendale – bocciato solo qua di stretta misura – che «ha trasformato il premio di risultato da 800 euro l’anno in welfare aziendale, anche se molti ormai si sono ricreduti perché i servizi (vacanze studio per i bambini, sanità) fanno comodo a tutti».
PIÙ ARTICOLATO E ANALITICO il giudizio dei sindacati. Se Fim – che in una nota ufficiale chiede di «non abbandonarsi al più becero nazionalismo» – e Uilm appoggiano il governo italiano e Fincantieri, la Fiom ha una posizione diversa e problematica. «Certo, l’acquisizione dei cantieri di Saint-Nazaire rafforzerebbe il gruppo a livello mondiale dotandolo di un bacino di capacità uniche al mondo ma, senza che l’operazione parallelamente preveda anche investimenti sui bacini italiani, si creerebbe una competizione interna che potrebbe mettere a rischio i cantieri italiani e i posti di lavoro», commenta Fabrizio Potetti, responsabile Fincantieri della Fiom.
SMENTENDO CHI PENSA che i sindacati siano in competizione, la Fiom è «in contatto con la Cgt francese e presto andremo a visitare Saint-Nazaire, sia per scambiare pareri direttamente e renderci conto dalla situazione sia per conoscere un modello produttivo diverso dal nostro: in Francia le esternalizzazioni sono pochissime rispetto al modello Fincantieri, dove invece sono la vera piaga che cerchiamo di combattere», spiega Potetti.
La difesa dei posti di lavoro italiani dunque per la Fiom «non si ottiene dal protezionismo a casa nostra o dalla denuncia di quello francese, ma dalla difesa della professionalità dei nostri lavoratori, sia gli operai che i progettisti, figli di una capacità tecnologica che fa dell’Italia ancora il leader mondiale della cantieristica, tanto che spesso gli armatori che contattano Fincantieri mettono come condizione che le navi siano costruite nei bacini italiani», continua Potetti.
IN QUESTO CONTESTO parecchi analisti hanno considerato reale il rischio che Fincantieri sia in realtà una testa di ponte per trasferire le tecnologie francesi in Cina, nazione in cui la sola Fincantieri ha creato una joint venture con China State Shipbuilding Corporation per sfornare navi da crociera nel cantiere di Shangai. «È un rischio molto remoto perché i cinesi hanno già un livello tecnologico altissimo», osserva però Potetti. Insomma, il protezionismo è sempre relativo.