«Designazione». La minoranza del Pd, che ha concentrato la sua battaglia sulla richiesta di elezione diretta dei senatori, porta a casa un surrogato: i cittadini designeranno i consiglieri-senatori sulla base di listini presentati dai partiti, il Consiglio regionale ratificherà. Matteo Renzi, che ha minacciato la crisi di governo pur di non cambiare la riforma costituzionale sul punto della composizione del nuovo senato, mantiene la sostanza: i senatori saranno scelti tra i consiglieri regionali ma anche loro, così come la maggioranza dei deputati, saranno selezionati dal capo partito. Passeranno però per una doppia vidimazione, prima degli elettori e poi degli eletti (consiglieri), un meccanismo barocco che apre una serie infinita di problemi pratici, ma che serve a salvare l’accordo politico nel Pd. Un’aggiunta «chirurgica» all’unico comma (il 5) dell’articolo 2 del disegno di legge Renzi-Boschi che il governo era disponibile a modificare.

Per festeggiare l’intesa si sprecano i paroloni e i richiami solenni allo spirito costituente, dopo però che Renzi con un discorso molto duro – e un mezzo incidente istituzionale con il presidente del senato – aveva voluto chiarire chi comanda. Portando lui il «lodo» alla direzione del partito, risultato per il quale nella minoranza avevano lavorato prima Chiti e Cuperlo che Bersani. All’ex segretario, Renzi non ha risparmiato la tradizionale stoccata, visto che l’accordo ricalca il sistema con il quale fu sperimentata la legge Tatarella per le regionali nel 1995, «designando» tra gli altri proprio Bersani alla guida dell’Emilia Romagna. Una scelta in prima battuta degli elettori, ma che fu necessario far passare per la ratifica dei Consigli regionali, in attesa della riforma costituzionale arrivata quattro anni più tardi.
La differenza è che oggi, proprio mentre si sta facendo una riforma costituzionale – enorme, di oltre un terzo della Carta – si costruisce un sistema bizantino che rinvia alle (potenzialmente venti) diverse leggi elettorali regionali e difficilmente funzionerà bene. Nel caso delle regioni nel ’95 funzionò male, costringendo i presidenti designati a costruire giunte improbabili per raccogliere i voti necessari alle ratifica, per poi in alcuni casi crollare rapidamente, in altri immediatamente. Perché, primo problema, cosa succede se un Consiglio regionale non ratifica quello che hanno scelto i cittadini? E poi, secondo problema, il comma 6 dello stesso articolo 5 prevede che a ogni partito in ogni regione sia assegnato un numero di consiglieri-senatori deciso sulla base della dimensione del gruppo regionale e (contemporaneamente) dei voti raccolti alle elezioni regionali. Adesso, per complicare le cose, si introduce una terza variabile, quella del risultato del listino, o del computo delle preferenze tra i più votati. Le tre indicazioni potrebbero non collimare. Siamo dunque lontanissimi dalla «norma semplice» annunciata da Bersani: i cittadini eleggono i senatori contemporaneamente ai Consigli regionali. Che era poi l’emendamento proposto dalla minoranza Pd dal quale dovranno tornare indietro i 28 firmatari.

Tutto questo per non toccare il resto dell’articolo 2, un punto d’onore che per Renzi vale la minaccia continua al presidente del senato Grasso. Sarà lui, dopo due votazioni (quasi) conformi, a decidere se riaprire il testo(anche agli emendamenti per l’elezione diretta dei senatori), se lo facesse secondo il presidente del Consiglio sarebbe uno «stravolgimento» della Costituzione e dei regolamenti. In quel caso «convocheremo la camera e il senato», dice Renzi, poi dopo le polemiche chiarisce che intendeva dire «i gruppi del Pd di camera e senato». Per lui non conta che la Costituzione preveda per le leggi di revisione la procedura rafforzata con la possibilità di ripensamenti anche dopo tre mesi di pausa di riflessione (la grande maggioranza dei costituzionalisti ha spiegato che questo principio prevale sul regolamento), non conta che c’è un precedente di riapertura anche dopo la «doppia conforme» (protagonista Napolitano). Non conta soprattutto che la nuova Costituzione venga scritta come uno scioglilingua, dove un comma (il secondo dell’articolo 2) stabilisce che i senatori sono eletti dai Consigli regionali, e un altro poco dopo (il nuovo 5) aggiunge invece che la scelta originaria spetta ai cittadini e i consiglieri possono solo ratificarla (in qualche caso ratificando se stessi).
E c’è almeno un altro problema: la norma transitoria continua ad affidare ai consiglieri la libera scelta dei primi senatori. Con il compromesso di ieri, e il legame con le elezioni regionali, per vedere il primo senato «designato» dai cittadini – dopo l’ultimo sì alla riforma e dopo l’eventuale sì al referendum – bisognerà aspettare ancora anni, quattro o cinque.