I consiglieri regionali e i sindaci che saranno promossi senatori avranno l’immunità da arresti, perquisizioni e intercettazioni. Almeno questa è la decisioni del senato, «transitoria e correggibile» come ha dovuto precisare la relatrice della riforma costituzionale Finocchiaro, consapevole dell’impopolarità della scelta. Il governo ha scansato l’ostacolo e la ministra è rimasta muta, sparendo dall’emiciclo un attimo prima del voto decisivo. E anche la relatrice si è rimessa all’aula, ricordando di essere già stata scaricata una volta da Boschi, il giorno dopo aver concordato con lei a palazzo Chigi il ripristino dell’immunità. Il risultato è un capolavoro di ipocrisia: l’esecutivo e la maggioranza che impongono fino ai dettagli le loro riforme costituzionali, arrivando a minacciare lo scioglimento del parlamento, sull’immunità non si esprimono. Renzi potrà continuare a dire che lui non la vuole. Ieri però ha fatto in modo che non fosse tolta.

Eppure il governo, per la prima volta dall’inizio della maratona in senato – ad eccezione di quando a voto segreto è andato sotto – non ha raggiunto la maggioranza assoluta, che in quarta lettura è sempre necessaria per le riforme costituzionali. I no agli emendamenti dei «dissidenti» del Pd, che volevano mantenere l’immunità solo per i deputati e assegnare l’ultima parola alla Corte costituzionale, si sono fermati a 160 (uno sotto il 50% più uno dei senatori in carica). Ma non è il caso di farsi illusioni, viste la molte assenze tra i pattisti del Nazareno (specie in Forza Italia), oltre alla continua latitanza di 5 stelle e leghisti. Il fatto è che sull’immunità una soluzione presentabile non è più possibile, dal momento che si è deciso che in futuro saranno i gestori del potere locale – spesso protagonisti delle cronache giudiziarie – a travestirsi da legislatori. A questo punto come si sceglie si sbaglia: o si dà lo scudo anche ad amministratori non votati dai cittadini, o si espone l’attività dei legislatori e lo stesso collegio che elegge il presidente della Repubblica a iniziative giudiziarie senza filtro.

Al nodo dell’immunità l’aula del senato è arrivata velocemente, dopo solo due ore di lavoro sulle riforme nelle quali ha macinato 192 votazioni tutte con l’identico risultato: respinto ogni emendamento, approvati tutti gli articoli del disegno di legge governativo fino al 9 compreso. Ritmi consentiti dall’esaurimento dei tempi di intervento, consumati nei primi giorni di ostruzionismo, dal piglio rapido del presidente di turno Gasparri, dall’ormai sperimentato «canguro» e soprattutto dalla considerazione che ormai il governo ha portato a casa il cuore della riforma. Così, mentre la ministra «trattava» senza concedere nulla alla capogruppo di Sel De Petris – che oggi terrà una conferenza stampa – l’aula correva, fermandosi solo per omaggio al secondo relatore Calderoli, bloccato da un grave lutto. La possibilità di concludere la prima lettura entro venerdì prossimo si avvicina, e i senatori si sono trovati persino con del tempo imprevisto a disposizione. A quel punto da Forza Italia è arrivata la richiesta di discutere almeno un po’ dell’immunità: «Pare che il governo domani vorrà proporre una modifica a quanto stabilito in commissione, almeno facciamogli sapere come la pensiamo», ha detto Donato Bruno. E mentre il dibattito prendeva quota, relatrice e ministra si concentravano sui cellulari, cercando una via d’uscita trovata poi nella pilatesca scelta di rimettersi all’aula. Non ci sarà nessuna modifica, nessuna mediazione.

E alla fine – ultimo intervento dopo due ore di dibattito – anche il Pd ha dovuto dire la sua: «Ci sono più ragioni per mantenere l’immunità ai nuovi senatori che per toglierla», se l’è cavata il capogruppo Zanda. Che per l’occasione ha riscoperto l’importanza di «rispettare le scelte dei padri costituenti», e rispettare «il profilo del parlamento», cioè quello che la riforma sta sconvolgendo. Grandi richiami all’importanza del «principio della divisione dei poteri», che evidentemente questi legislatori difendono solo verso la magistratura, ma non verso il potere esecutivo che si lascia dettar legge, e legge costituzionale. Con la stessa disinvoltura, era stata precedentemente respinta la bizzarra proposta della senatrice a vita Cattaneo di affidare all’accademia dei Lincei la selezione dei prossimi senatori di nomina presidenziale. E no, bisogna rispettare la volontà del popolo, e poi le cooptazioni non stanno bene, hanno spiegato scandalizzati i rappresentanti del Pd. Dimenticando che genere di riforma costituzionale stanno votando.