Tredici nuovi arresti che poco aggiungono a uno scenario ormai consolidato di rapporti sempre più stretti tra cosche calabresi ed esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario lombardo. Il titolo ancora una volta è la ’ndrangheta al nord, e la storia è sempre la stessa: ci sono le mani della criminalità organizzata sulle grandi opere connesse all’Expo. E non solo su quelle.

Le comparse variano da indagine a indagine ma sempre danno l’idea di una fitta rete di complicità difficile da individuare, anche perché in assenza di pentiti bisogna ricorrere a lunghi pedinamenti, intercettazioni e microspie. In quest’ultimo caso, oltre a clan già noti, tra gli attori ci sono anche un agente di polizia penitenziaria, un imprenditore immobiliare, un funzionario dell’Agenzia delle Entrate e anche un ex consigliere comunale di Rho, proprio il comune alle porte di Milano dove tra sette mesi si terrà l’esposizione universale più commissariata della storia. Forse non è un caso. Si chiama Luigi Addisi. Si era dimesso la scorsa primavera dal suo incarico nel Pd dopo aver già militato nella Casa della Libertà e nell’Udeur.

Un personaggio non proprio insospettabile in quel di Rho che era già stato «individuato» come presunto referente della malavita calabrese da alcuni esponenti del centro sociale La Fornace che da tempo vigilano sul malaffare legato all’Expo.

«Nulla cambia, è una riflessione da fare», con questa considerazione il procuratore aggiunto della Procura distrettuale anti mafia di Milano, Ilda Boccassini, ha commentato l’indagine condotta tra la Calabria e la Lombardia dai Ros dei carabinieri. E dire che con l’operazione «Infinito», quattro anni fa, sembrava che la Procura di Milano avesse inferto il colpo definitivo alla ‘ndrangheta in Lombardia. Le tredici persone arrestate ieri, secondo i pm Paolo Storari e Francesca Celle, farebbero parte di due gruppi della ‘ndrangheta molto attivi nel comasco. Gli arresti sono stati eseguiti nelle provincie di Milano, Como, Monza, Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Sono accusati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d’ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento con incendio. Per il procuratore aggiunto Boccassini si tratta di personaggi di notevole importanza che confermano la presenza di ‘ndrine locali molto pericolose «con autonomia nella nostra regione e con un controllo capillare nel territorio». Organizzazioni che se in pericolo «reagiscono con una violenza inaudita».

Sulla capacità di accreditarsi nei salotti buoni non ci sono dubbi. Un’impresa del boss Giuseppe Galati, tra i destinatari delle misure cautelari, «ha avuto la certificazione antimafia» per due subappalti da 450 mila euro per lavori sulla tangenziale est esterna di Milano, una delle tante opere connesse all’Expo. Particolare piuttosto significativo, tanto che il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati ha dovuto aggiungere che «ci sarà una segnalazione alla Prefettura che ha già svolto un ruolo imponente per l’Expo» (circa una sessantina di interdizioni nei confronti di altrettante aziende sospette).

Il clan della famiglia Galati si sarebbe fatto conoscere anche per i suoi metodi piuttosto sbrigativi. Uno dei presunti boss della famiglia dal carcere avrebbe ordinato di bruciare l’automobile di un vigile urbano «che l’aveva visto transitare su una macchina in compagnia di un pregiudicato e aveva steso un rapporto che gli era costato la revoca della semilibertà». E ancora: l’invio di una busta di proiettili alla direttrice del carcere di Monza, come minaccia di morte per ottenere un diverso trattamento per il detenuto Fortunato Galati.

L’ex consigliere del Pd Luigi Addisi, invece, è accusato di riciclaggio e abuso d’ufficio con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione mafiosa: avrebbe riciclato denaro per l’acquisto di un terreno nella zona di Rho che in seguito avrebbe cambiato destinazione d’uso (e valore) grazie a un voto favorevole del consiglio comunale. Tra i tredici arrestati spicca anche il nome di Salvatore Muscatello, ottanta anni, già agli arresti domiciliari in seguito all’inchiesta «Infinito» di quattro anni fa. «Ancora fino a questa mattina quando è finito in carcere – spiega Boccassini – continuava ad esercitare da casa il ruolo di capo».