Non è una battuta rubata o un’intervista che si possa poi accusare di aver travisato. Per lanciare la sua offensiva intrecciata su due fronti, quello del Quirinale e quello del dna leghista, Giancarlo Giorgetti sceglie un palcoscenico che sa essere tra i più fragorosi, il libro di Bruno Vespa, che arriva puntuale ogni anno in questo periodo. Si parla di Colle e l’opzione preferita dal numero due della Lega sarebbe incatenare Sergio Mattarella ancora per un annetto, ma se proprio non si può «Va bene Draghi». È come dire che Draghi subito o il medesimo tra 12 mesi e sin qui nulla di nuovo. Certo, è un siluro contro la candidatura Berlusconi ma caricato a salve. Silvio Berlusconi fa sul serio, però senza aver smarrito il senso della realtà. Se Mario Draghi deciderà di correre e avrà il sostegno di tutti o quasi ritirerà una candidatura del resto mai ufficializzata.

IL COLPO INASPETTATO Giancarlo Giorgetti lo piazza dopo: «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto in cui il presidente allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole». Come il bambino della favola Giorgetti nomina la nudità del re, dice quello che tutti sanno ma che ciascuno finge di ignorare. La presidenza Draghi segnerebbe un punto di rottura, spalancherebbe un cancello destinato probabilmente a non richiudersi.

Sia per il suo ruolo in Italia e in Europa, sia per la fase di trasformazione in corso, Draghi non potrebbe essere un presidente come i predecessori. Per questo la sua elezione, che in ultima analisi sarà una scelta più sua che dei partiti, necessita di due condizioni: deve essere a grandissima maggioranza e non di parte, dunque deve arrivare alla prima votazione. Matteo Renzi infatti non scopre ancora le sue carte ma indica proprio questa necessità: «Dei nomi se ne parlerà a febbraio. Draghi farebbe bene il presidente come fa bene il premier e come farebbe bene il presidente delle istituzioni europee. Adesso non lo tiriamo per la giacchetta ma spero nella maggioranza più ampia possibile».

L’EVENTUALE NOMINA, inoltre, non deve implicare elezioni anticipate, perché lo stesso Draghi non può permettersi di affrontare un voto al buio con la sua politica economica non ancora avviata. Deve essergli assicurata la prosecuzione di questo esecutivo, o di uno quasi identico, guidato da un premier di sua assoluta fiducia. Sono condizioni necessarie perché una presidenza Draghi abbia senso. Sono anche i requisiti del semipresidenzialismo. Giorgetti dunque scopre le carte. È consapevole che svelare il gioco non fa alcun piacere al Pd e al Movimento 5 Stelle, ma sa che né Enrico Letta né Giuseppe Conte possono in alcun modo opporsi a una presidenza Draghi e certamente mira ad allettare un centrodestra che ha un po’ nascosto la bandiera presidenzialista, ma senza mai ammainarla.

IL FRONTE INTERNO, la sfida per far cambiare rotta al Carroccio, è intrecciato al primo. Giorgetti non nasconde il suo obiettivo: «Per istituzionalizzarsi definitivamente Salvini deve fare una svolta precisa. Il suo europeismo è un’incompiuta e l’ingresso della Lega nel Ppe è un’ipotesi che regge». Non è quello che ha in mente il Salvini fresco di incontro e abbraccio con Bolsonaro. È l’opposto e il capo, piccato e irritato, non la manda a dire: «Io mi occupo di pensioni e tasse. Stiamo lavorando a un grande gruppo che metta insieme il centrodestra in Europa. Nessun vecchio gruppo».

Può sembrare il preludio a uno scontro frontale, di quelli destinati a sfociare in scissione. Tutto può succedere ma non è questa l’intenzione di Giorgetti. La sua non è un’offensiva frontale ma una guerra di posizione. «Non ci sono due linee. Al massimo sensibilità diverse. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea. Questa scelta non è ancora avvenuta. È abituato a essere un campione di incassi nei western. Io gli ho proposto una parte da non protagonista in un film drammatico da Oscar».

SALVINI NON HA SCELTO. Non intende lasciare a Giorgia Meloni il monopolio del sovranismo e la sua natura non lo spinge certo nella direzione indicata dal suo numero due. Ma Giorgetti lo conosce abbastanza per sapere che a orientarlo alla fine saranno le circostanze. Tra le quali un Draghi allocato al Quirinale avrebbe un peso enorme.