I ragazzini afgani inquadrati dalla tv greca sul confine di Idomeni, improvvisamente chiuso domenica selettivamente per loro, imbracciano cartelli con la scritta: «Help us cross border». Increduli, i più grandi, ventenni: «Siamo qui da tre giorni e non capiamo perché hanno chiuso il confine». «Non vogliamo né pane né acqua, vogliamo proseguire». «Non possiamo tornare indietro, la scelta è o morire qui oppure andare avanti perché – come dice Mohamed Asif – abbiamo pagato così tanto denaro per arrivare a questo punto. La Germania ha detto che avrebbe accolto i rifugiati, cosa è cambiato adesso?».

C’è stato anche un momento di tensione, ieri, quando uno dei 600 giovani che hanno inscenato la protesta nella terra di nessuno ha scalato la rete di recinzione per buttarsi dall’altra parte ed è stato fermato dalle guardie di frontiera macedoni.

Sono circa 8 mila gli afgani intrappolati nell’imbuto di Idomeni dalla chiusura della frontiera da parte dell’ex Repubblica di Macedonia, ora Fyrom, deciso nel fine settimana. Non una chiusura totale, ha spiegato il governo di Skopje, ma relativa solo ai cosiddetti «migranti economici». Perché, sempre secondo Skopje, «sappiamo che parte di questi afgani vivono già da anni in Grecia e ora vogliono approfittare del flusso per arrivare in Germania ma in questo caso saranno rimandati indietro».

La decisione di Skopje ha imbarazzato Bruxelles – la portavoce della Commissione Natasha Bertaud si è limitata a dire che le risultava ci fosse «ancora» un movimento lungo il confine nord della Grecia e che «in questa fase non c’è ancora una chiusura» – e soprattutto ha scatenato la reazione di Atene. Il vice ministro per la Migrazione Yannis Mouzalas ha annunciato mosse diplomatiche e pressioni «a livello europeo e bilaterale». Ma si sa che il problema sta a monte della barriera metallica che costeggia il fiume Axios, molto più a nord: a Vienna e a Berlino, dove a questo punto la «politica del Benvenuto» inaugurata da Frau Merkel si sta rivoltando nel suo opposto, cedendo alle spinte xenofobe.

Il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière in una intervista domenicale alla tv pubblica Ard ha definito «inaccettabile» la mossa dell’Austria di accettare solo 80 richiedenti asilo al giorno, facendo nel contempo passare altri 3.200 migranti diretti in Germania, e ha aggiunto che intende portare la questione all’attenzione del prossimo vertice europeo di giovedì e venerdì.

Bruxelles finora assiste preoccupata ma immobile alla forza attrattiva delle politiche anti-migranti del gruppo di Visegrad, con al centro l’Ungheria di Viktor Orban, che ora oltre a Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, sta aggregando anche altri paesi. L’ultima riunione del V4 a Praga è stata infatti allargata ai macedoni e alla Bulgaria, e non da meno la Romania si schiera su posizioni di respingimento, fili spinati e rifiuto, tutto il contrario del meccanismo delle quote europee.

La Slovenia per ora non è della partita ma si sta muovendo in proprio sulla gestione dei transiti sulla rotta balcanica, tramite accordi bilaterali con la Croazia e un rafforzamento dei controlli di frontiera: proprio ieri il parlamento di Lubiana ha dato poteri di polizia ai militari dislocati ai confini, con l’intento di scoraggiare gli ingressi: il nuovo «mantra».
Il meccanismo di coordinamento europeo sui migranti, messo in crisi ora anche dalla Francia, dovrebbe essere rimesso sulle rotaie nel prossimo summit del 17 e 18 marzo, l’ultimo appello per l’Europa e Schengen prima che la stagione primaverile faccia ripartire i flussi migratori al suo massimo.

I circa 100 mila migranti e rifugiati che hanno attraversato il mar Egeo per raggiungere le isole greche dall’inizio dell’anno sono stati 40 volte più numerosi che nello stesso periodo dell’anno scorso ma sempre circa il 40% in meno di quelli che Frontex si aspettava in caso di tempo meno inclemente e mare meno agitato.