A distanza di quasi un trentennio dalla prima edizione, Iperborea ripropone uno dei racconti più celebri dalla fase finale della produzione di Selma Lagerlöf, L’anello rubato, del 1924, nella efficace traduzione di Silvia Giachetti che firma anche la postfazione, in cui ricostruisce il contesto che fa da sfondo alle vicende narrate (pp. 160, € 16,50).

Primo capitolo di una saga in tre episodi, a cui fecero seguito Charlotte Löwensköld (1927) e Anna Svärd (1928), il libro racconta una sorta di maledizione dell’oro che distrugge le vite dei personaggi: il vecchio comandante Löwensköld, in origine un contadino, ha fatto fortuna combattendo per anni in guerra con ferocia e determinazione al servizio di re Carlo XII. E il suo successo è stato coronato dalla concessione delle ricche terre di Hedeby, nelle quali è ambientato il racconto, e di un grande anello con sigillo, con cui Löwensköld si fa ritrarre, volendo dichiarare con questo la sua fedeltà al sovrano, anche quando la sua fama è ormai in declino.

Dopo avere fallito la campagna militare contro Pietro il Grande, infatti, Carlo è stato costretto a riparare nell’impero ottomano, dove resterà per molti anni, sperando in un’impossibile alleanza con il sultano.
In un’epoca di carestia legata ai fatti bellici, lontanissimi geograficamente, eppure micidiali nel determinare le sorti della Svezia, quel simbolo di potere, fatto d’oro e di corniola rossa incisa, fa sognare molti: il generale si è fatto seppellire con indosso il suo simbolo, e molti vagheggiano un furto, dato il grande valore dell’oggetto.

Un contadino, Bard Bardsson, sviluppa una vera e propria ossessione per quell’oggetto, finché approfitta di una apertura del sepolcro per compiere il misfatto. Da quel momento ogni sorta di maledizioni piomba sulla comunità, mentre lo spettro del militare funesta le vite di molti, alla ricerca, determinata e violenta, dell’oggetto che gli è stato sottratto, così da poter di nuovo riposare in pace.

Una sequenza di tragedie travolge la comunità, finché una donna riesce a interrompere la terribile catena degli eventi. L’ambientazione, come nell’opera straordinaria che dette celebrità all’autrice, La Saga di Gösta Berling (1891), è nel nativo Varmland: un territorio agreste, di tradizioni e malìe, al cui folklore si alimenta tutta l’opera di Selma Lagerlöf e che sedusse in gioventù anche Ingmar Bergman.

Nell’opera di Lagerlöf è centrale una riflessione sul potere corruttore della ricchezza, che echeggia antiche saghe e leggende locali. Sia i cavalieri di Ekebù della Saga che i devoti del notevolissimo Jerusalem (1902), romanzo ambientato in Terra Santa, sono mossi dall’ossessione per la ricchezza e per i suoi simboli, portatori di rovina. L’anello rubato si sviluppa attraverso un meccanismo narrativo a spirale in cui un atto determinato da miseria e disperazione mette in moto un distruttivo meccanismo a catena: lo scioglimento è affidato all’amore, che sfidando pericoli inauditi, pone fine alla favola nera di avidità e castigo.