I capannelli dei deputati di Sel si raggrumano, si scompongono, si ricompongono in un Transatlantico ancora sotto l’effetto del Renzi-boom, il 40,8 per cento del Pd che sta già «renzizzando» l’emiciclo, una forza centripeta che attira ogni cosa verso il premier. Non siamo alla scissione, anzi la scissione guai a nominarla, è una «profezia interessata», «un’entrata a gamba tesa nel nostro dibattito interno» da parte dei cronisti. E allora è almeno un divorzio, quello che già si vede all’orizzonte nel movimento di Vendola. E per una volta viene dopo una vittoria, quella della Lista Tsipras, che contro tutti i pronostici domenica ha acciuffato il 4, 03 per cento. La rottura non è consumata, ma ormai non sembra evitabile. Perché se ieri su Repubblica il capogruppo di Sel alla camera Gennaro Migliore proponeva di «costruire in Italia un soggetto unitario di sinistra, regolato dalla democrazia interna, che possa far vivere le aspettative di cambiamento. Senza restare ciascuno, Pd e Sel, nel proprio contenitore», sul manifesto la deputata Ileana Piazzone andava oltre: «Vogliono fare un nuovo soggetto a sinistra: io non ci sto, ma non voglio fare neanche la parte di quella che si mette di traverso». In entrambi i casi sono proposte in rotta di collisione con il co-working delle sinistre unite nella lista Tsipras.

Il dissenso era ampiamente annunciato, si era già contato al congresso nello scontro fra pro-Schulz e pro-Tsipras, e poi in una successiva direzione del febbraio scorso. Poi i dissidenti, sarebbero una quindicina di deputati, avevano tenuto disciplinatamente le bocche cucite durante la campagna elettorale, per evitare l’accusa di sabotaggio. Ma ora la casa vendoliana va in fibrillazione. «Dichiarazioni intempestive, a ballottaggi in corso in mezza Italia», è una delle obiezioni dei contrari. I favorevoli invece: «Non si può non rendersi conto che dopo il 40,8 per cento è cambiato tutto», rigorosamente a taccuino chiuso. «Quello che dice Gennaro non è peregrino, stanno cambiando la linea del congresso con piccole successive furbizie».

Ileana Piazzoni, ’migliorista’ dichiarata: «Non capisco la linea di Sel: se dopo la lista Tsipras non si fa una costituente di sinistra, che l’abbiamo fatta a fare la lista unitaria? Per eleggere tre eurodeputati? Ma se si fa, sarebbe il cambio di linea rispetto al congresso». Quindi chiedete un congresso? «Neanche per sogno. Sta a loro fare una proposta sul futuro». State trattando con il Pd? «Parliamo con tutti i dem, ma il problema non è il Pd ma la collocazione rispetto al governo. Non si può non riconoscere un tentativo riformatore in Renzi». Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel e ultrà dell’operazione Tsipras sillaba un «no comment, ci confronteremo alla riunione di presidenza di venerdì». Dalla sua parte vige la consegna del silenzio. Ma tira aria gelida. E c’è chi vede in questo silenzio persino un invito ai dissidenti di levare il disturbo.

Anche Nichi Vendola non commenta. Lui che a congresso si era battuto come un leone per evitare la rottura fra i suoi, cerca anche stavolta quella che nei partiti si chiama «la sintesi». «Se Renzi riuscirà a ribaltare l’agenda di governo dell’Europa trasformeremo le nostre critiche e i nostri dissensi in consenso». Non sono precisamente i toni che i garanti della lista usano nei confronti del premier («Il Pd è una nuova Dc», ha detto lunedì Barbara Spinelli), ma lo si potrà misurare meglio sabato prossimo, all’assemblea dei candidati della lista, dove sarà lanciata la proposta di «andare avanti»: ma i modi di questo «andare avanti» sono tutto per Sel. Celeste Costantino, che pure non era fra gli entusiasti di Tsipras chiede «calma, discustiamo, è chiaro che la stra-vittoria di Renzi cambia tutto, ma io non voglio restare schiacciata fra due posizioni presunte. Nessuno sta chiedendo lo scioglimento di Sel. Abbiamo fatto l’esperienza della lista, abbiamo vinto, possiamo vedere questo processo dove porta prima di dichiararlo chiuso?».

Ma il ciclone Renzi non può non porre dei problemi, nei capannelli si ragiona «nei collegi i nostri compagni sono confusi, non si può sostenere che in quel 40,8 per cento non ci sia anche un po’ della nostra sinistra». La replica è «ma ora che Grillo è in crisi dobbiamo essere un riferimento per quelli che lo abbandonano. Alleanze con il Pd? Riparliamone nel 2018».

Venerdì, alla riunione della presidenza, ci sarà il primo round del confronto. Il 14 giugno l’assemblea nazionale, che però è composta a stragrande maggioranza da pro-Tsipras, qualsiasi cosa oggi voglia dire: tutti i pro-Tsipras escludono «un ritorno alla vecchia Rifondazione e alla sinistra identitaria».

L’ora della verità però potrebbe arrivare anche prima sul decreto degli 80 euro, che scade il 23 giugno. Presto andrà al voto del senato, dove però dei sette senatori nessuno al momento sarebbe sulla linea di Migliore. Poi alla camera, dove invece sarebbero una quindicina quelli che dichiarano di non essere disponibili a votare no. La mediazione potrebbe essere la scelta dell’astensione. Ma non è neanche detto che i ’miglioristi’ siano disponibili ad accettarla.