Un titolo come Sei personaggi in cerca d’autore è entrato di forza nella storia del teatro moderno, come anche nel linguaggio quotidiano. Il rapporto tra un testo e coloro che lo portano sulla scena ha scoperto il proprio aspetto «drammatico» (in tutti i sensi) e insieme la sua centralità, grazie a Luigi Pirandello, che pure si ritrovò duramente attaccato la sera del 1921 in cui lo spettacolo andò in scena per la prima volta al Valle di Roma (con la famosa rivolta degli spettatori al grido di «manicomio» rivolto al palcoscenico e all’autore presente in sala). Pochi mesi fa il film di Roberto Andò La stranezza (con Toni Servillo nel ruolo pensoso del vate di Agrigento) ha rivelato al grande pubblico quella curiosa e imbarazzante situazione, davanti a un testo che oggi è considerato un cardine del teatro moderno, pezzo forte di grandi attori, compagnie e registi. Perfino Luca Ronconi ne fece un memorabile «studio» di rara inquietudine e violenza.Nello spettacolo è il potere assoluto della «finzione» ad essere messo in crisi

ORA VALERIO BINASCO per lo Stabile di Torino (di cui è consulente artistico) in coproduzione con quello di Genova e con quello di Napoli (Bellini) ne presenta una nuova versione, di cui firma la regia e interpreta il ruolo protagonista del padre. Una versione energica e sfrondata di retorica, di allusioni e anche di personaggi (nel senso dei figlioletti più piccoli destinati a morire). Non è presente neanche Madama Pace, che nel testo di Pirandello è l’unico e isolato aspetto «comico», essendo lei la tenutaria del negozio di mode (e di tolleranza) dove in realtà si consuma il quasi-incesto tra padre e «figliastra». C’è da una parte la famiglia di quei personaggi «inventati», e c’è dall’altra la compagnia degli attori che dovrebbe provare un nuovo spettacolo. Questa seconda è numerosa (Binasco ha coinvolto parecchi allievi della scuola di recitazione dello stabile torinese) e «disorientata» quanto vitale, guidata anche comicamente da Juri Ferrini che impersona quel capocomico/artista/domatore. I personaggi pirandelliani originali si riducono così a quattro, rendendo più concentrato il racconto: il padre/patrigno (cui Binasco conferisce una scapigliata ambiguità tra bene e male, tra lussuria animalesca e insipienza della realtà), la madre prigioniera del suo cieco «perbenismo» che la realtà non vuol vedere (Sara Bertelà), il disorientato figlio maggiore (Giovanni Drago), e la figliastra (Giordana Faggiano) lucida e determinata nel volersi vendicare del peccaminoso oltraggio.

La redazione consiglia:
Pirandello secondo Federico TiezziIL RISULTATO più forte dello spettacolo, che scorre veloce nella impossibilità della rappresentazione e dei suoi viluppi di responsabilità e colpe, sta forse proprio in quel voler uscire dalla dinamica pirandelliana, che all’inizio del secolo breve cercava ascendenze quasi «bibliche» per i principi fondanti del teatro. E delle sua «moralità», come si chiamavano del resto molti spettacoli in epoca rinascimentale (che proprio per questo non si evitava di portare in scena le situazioni anche più trucide).
Qui è piuttosto il potere assoluto della «finzione» (e forse proprio della fiction) ad essere messo in crisi, un potere che sembra dominare nella società come nella politica, oltre che nei principi morali che le determinano, lasciando spesso incerte per attribuzione e riconoscimento le scelte e le responsabilità. Resta la vitalità dei giovani attori sociali (che i ragazzi provenienti dalla scuola di teatro non lesinano) per sperare di dare un senso, dei valori, o una qualche moralità, al mondo, spesso finto, o quanto meno «artificioso». Proprio come uno spettacolo..