Tornare al voto presto. Prestissimo, a novembre o addirittura a ottobre secondo il desiderio dei falchi più scatenati del Pdl, che sognano una campagna elettorale negli ultimi giorni di libertà di Berlusconi, da concludere con l’apoteosi degli arresti domiciliari. Ma è possibile? Guardando ai tempi necessari per la modifica della legge elettorale, evidentemente no. E se c’è una certezza in questo agosto incerto è che Napolitano non scioglierà le camere se non dopo che il Porcellum sarà stato cancellato, o almeno corretto. Pdl e Pd se lo sono sentiti ripetere nei rispettivi incontri con il capo dello stato questa settimana, ma lo sapevano già dal giorno in cui il presidente, giurando in parlamento, ha definito «imperdonabile» la mancata riforma della legge elettorale nella scorsa legislatura.

Anche perché, disse allora Napolitano, l’esito delle elezioni con il Porcellum – «frustrazione tra i cittadini» e «difficile governabilità» malgrado «l’abnorme premio» di maggioranza – era «non certo imprevedibile». Che è poi il discorso che Enrico Letta ha fatto giovedì scorso alla direzione del Pd, quando ha spiegato che tornare alle urne con la legge Calderoli significherebbe trovarsi con un parlamento non molto diverso da quello attuale e dunque nuovamente di fronte alla soluzione obbligata delle larghe intese. È quindi un argomento politico che impone la riforma prima del voto. E non invece l’argomento «di tecnica costituzionale» sollevato nei giorni scorsi dal ministro delle riforme Quagliariello, relativo cioè all’attesa sentenza della Consulta sul Porcellum. Il ministro ha dovuto poi spiegarsi meglio. E in effetti seppure a inizio dicembre la Corte Costituzionale dovesse decidere di accogliere il ricorso della Cassazione sulla legge in vigore, dichiarandola in parte incostituzionale, nessun effetto pratico ci sarebbe sulle nuove camere eventualmente e nel frattempo elette. La cui «legittimità» non potrebbe essere messa in discussione, a norma di Costituzione, se non dalle camere stesse (in base allo stesso articolo che impone un voto sulla sorte di Berlusconi, malgrado la sentenza esecutiva di condanna). Certo, molto ci sarebbe da dire dal punto di vista del giudizio politico su un parlamento eletto con una legge dichiarata (in parte) incostituzionale, ma è più o meno quello che si può dire oggi (la Corte ha già due volte criticato il Porcellum in attesa di potersi esprimere pienamente) di questa legislatura che pure si vorrebbe addirittura «costituente».

Riforma obbligata della legge elettorale, allora. Il senato comincerà a occuparsene alla ripresa, la commissione affari costituzionali grazie a una seduta di appena quindici minuti l’8 agosto scorso è riuscita a incardinare l’argomento e a darsi appuntamento per l’8 settembre. Si andrà avanti con la procedura d’urgenza, il che equivale a dire che, ipotizziamo, per la fine di settembre palazzo Madama potrebbe approvare un suo testo, passarlo alla camera e alla fine di ottobre ci sarebbe la tanto attesa riforma. Questo in teoria. Perché per rispettare questi tempi stretti ci sarebbe bisogno di un accordo nella maggioranza che non solo non c’è ma è anche improbabile. I partiti infatti sono pronti a cambiare la legge elettorale solo per andare in direzione delle loro convenienze, e le convenienze sono ovviamente diverse.
Uno sguardo ai disegni di legge dai quali partirà il lavoro della prima commissione al senato basta a chiarire il concetto. Sono sette, nessuno di questi porta la firma dei senatori del Pdl. Per Berlusconi, è noto, il Porcellum resta la scelta migliore, al limite anche con l’introduzione di una sogli minima per accedere al premio di maggioranza (potrebbe ordinarlo la Consulta). Tutte le sette iniziative di legge agli atti (una della Lega, una di Sel, una degli autonomisti e quattro del Pd) puntano a riportare in vita il Mattarellum. La senatrice Finocchiaro, presidente della giunta e relatrice designata, ne ha presentate due. La prima a marzo prevedeva una correzione al Matterellum aumentando la quota proporzionale. La seconda, più recente si rimangia quella correzione e anzi triplica l’effetto maggioritario della vecchia legge elettorale, aggiungendo ai collegi uninominali la cancellazione dello scorporo e un premio di maggioranza.

Tutte queste modifiche al vecchi Mattarellum, prevede la senatrice Finocchiaro che venerdì ha accompagnato Epifani da Napolitano, dovrebbe farle il governo con una delega per la quale si prevedono quattro mesi di tempo. Quattro mesi nei quali bisognerebbe anche rivedere tutti i collegi circoscrizionali. Quattro mesi che, nella migliore delle ipotesi, rimanderebbero le elezioni a marzo.