La cassaforte di Banca Etruria è piena di segreti. Tra porti, flotte di navi e affidamenti incauti. Il consiglio di amministrazione, presieduto da Lorenzo Rosi e interrotto dal commissariamento di Bankitalia, si apprestava a certificare un bilancio con un passivo di più di mezzo miliardo dovuto al credito deteriorato. Linee di credito aperte fino a 250 milioni che hanno portato l’antica banca Mututa Popolare Aretina, nata nel lontano 1881 e tra le prime dieci banche cooperative in Italia, sull’orlo del crack. Numeri che, a questo punto, passeranno prima sotto la lente dei commissari incaricati ovvero Riccardo Sora (ex commissario di Tercas) e Antonio Pironti, mentre Paola Leone, Silvio Martuccelli e Gaetano Maria Presti sono stati indicati per il comitato di sorveglianza.

È questo l’esito dell’attività ispettiva condotta dalla Vigilanza sui conti dell’istituto a partire dal novembre scorso. Ispezione che ha portato alla luce ulteriori «consistenti rettifiche sul portafoglio crediti». Tali da incidere sensibilmente sul patrimonio della banca sceso pesantemente al di sotto dei requisiti minimi previsti. In che misura, allo stato, non è ancora dato sapere. Quel che si è appreso è che le perdite sono state recepite dalla popolare aretina e questo ha eroso sensibilmente i mezzi dell’istituto. Gli ultimi dati disponibili parlano di un ammontare di crediti dubbi, tra sofferenze lorde e incagli, attorno ai 3 miliardi. Un collasso finanziario su cui vogliono vederci chiaro due procure, quella di Roma e quella di Arezzo. Gli inquirenti capitolini valutano, dopo il commissariamento, l’ipotesi di reato di ostacolo alla Vigilanza. In altre parole si vuol capire se il board di via Calamandrei possa aver rappresentato a Bankitalia un quadro falsato sulla situazione finanziaria e patrimoniale dell’istituto.

Nel mentre, è in dirittura finale l’inchiesta che il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, ha incardinato da quasi un anno sul vecchio cda, presieduto da Giuseppe Fornasari, enfant prodige democristiano, deputato a 26 anni e già sottosegretario all’Industria, la cui ascesa coincise con il tramonto di Elio Faralli, il vecchio patriarca, massone dichiarato, colui che fece dell’Etruria la prima popolare del centro sud. L’ipotesi di reato è quella di falso in bilancio. La lente degli investigatori si è focalizzata su Palazzo della Fonte, la società su cui l’Etruria ha concentrato il suo patrimonio immobiliare. In questi meandri si nascondono movimenti sospetti e passaggi ambigui. A Palazzo della Fonte l’Etruria ha conferito un pacchetto di 59 immobili per un valore di mercato di 82 milioni. Il 90% delle azioni ordinarie è andato a «selezionati partner industriali e finanziari». Tra loro Manutencoop, un gigante nei servizi agli immobili, e Methorios, consulenza finanziaria, entrambi quotati in Borsa. Poi, privati tra cui Matteo Minelli, 34 anni imprenditore con sede d’affari a Gualdo Tadino nelle energie rinnovabili. E una passione per la birra che produce con il birrificio Flea.

Le cronache locali raccontano che alla cena di autofinanziamento del Pd a Roma lo scorso novembre la birra ufficiale (800 bottiglie) fosse proprio quella di Minelli. Ma il sospetto è che effettivamente il “pacchetto immobili” sia uscito dal gruppo, dunque “deconsolidato”. E infatti gli ispettori di Bankitalia costringono nel 2014 la banca a escludere dal computo del patrimonio di vigilanza gli effetti dello spin off immobiliare del 2012. Non è solo una questione di semplice maquillage “stanato” perché le carte di Palazzo della Fonte sono finite in cima al fascicolo aperto in procura. L’istituto aretino è, infatti, l’unica banca quotata sottoposta a commissariamento. In base alle più recenti classifiche di Mediobanca l’Etruria ha crediti dubbi alla clientela per 1,69 miliardi di euro, pari al 22,9%, il livello massimo tra le banche popolari. Il corollario che avrebbe portato Banca Etruria al commissariamento e a due inchieste pendenti è fatto, dunque, di crediti deteriorati, indigestione di titoli di stato, finanziamenti disinvolti e investimenti extraterritoriali fallimentari.

A tal proposito, come spiega al manifesto un professionista esterno ma da sempre legato alle vicende dell’Etruria, le radici del default odierno risalirebbero agli anni ’80, all’acquisto della Banca dell’Alto Lazio, feudo andreottiano che potrebbe aver comportato oboli di padrinaggio e laute prebende. Tornando ai giorni nostri, si sussurra di un’ampia compartecipazione nel porto di Civitavecchia con relativo, e incauto, salvataggio di una flotta di navi di proprietà di un insolvente finanziere arabo. E, ancora, i numerosi default locali come la storica azienda orafa UnoAerre per 30 milioni e il mobilificio Del Tongo per 40. Ora la palla passa ai commissari che cercheranno di capire come rimettere in sesto il bilancio della popolare. La procedura di amministrazione straordinaria, sotto la supervisione di Bankitalia, avrà infatti il compito di «condurre l’attività aziendale secondo criteri di sana e prudente gestione e di individuare le iniziative necessarie per il superamento della crisi aziendale».