Sulla carta, e dal trailer, Big Little Lies sembrerebbe l’adattamento hollywoodiano, glamour, patinato, di un’edizione di The Real Housewives ambientata sulle coste rocciose, turchese scuro, della California settentrionale, punteggiate di bianche ville vetrate, sull’orlo di dirupi vertiginosi, popolate di gente che pare non lavorare mai, ma investe quantità ridicole di tempo e denaro in battaglie all’ultimo sangue per sabotare la festa di compleanno di una bimbetta bionda o la messa in scena amatoriale di un successo off Broadway a base di marionette.

Lo showrunner della nuova miniserie Hbo, adattata dal libro di Liane Moriarty, in onda da stasera su Sky Atlantic alle 21:15 è David E. Kelley, specialista di serial avvocateschi (The Practice, Boston Legal) e creatore di uno dei personaggi femminili più irritanti della storia televisiva, Ally McBeal. Fortunatamente, non c’è nulla di sciacquato, piagnucolezioso o infantilistico nelle donne di Big Little Lies.
Madeleine Martha Mackenzie (Reese Whiterspoon), Renata Klein (Laura Dern), Celeste Wright (Nicole Kidman), Bonnie Carlson (Zoe Kravitz) e l’ultima arrivata, Jane Chapman (Shailene Woodley) sembrano scolpite nella materia più granitica, oscura, del melodramma anni cinquanta (Peyton Place, A Summer Place di Delmer Daves, Minnelli…) che nella soap riciclabile, da tutti i giorni, di The Affair.

Con una premessa da classico mistery alla Agatha Christie, articolato però nella struttura flash back di True Detective e della serie Netflix Bloodline, Big Little Lies inizia con i sentori di un omicidio. Non sappiamo chi è la vittima ma, poco a poco, osserviamo, come in un acquario, il mondo rarefatto e il crescendo degli eventi da cui è sfociato, mentre un coro greco di residenti di Monterey -interrogati dalla polizia- dicono la loro sui personaggi principali della storia.
Quello che si apre davanti ai nostri occhi è, inizialmente, un mondo straordinariamente privilegiato e straordinariamente piccolo, quasi meschino. Madeleine è una casalinga ipercritica e iperattiva, che sublima la sua insoddisfazione investendo passioni sovraumane nel rimediare piccole ingiustizie di tutti i giorni.

Renata è una business woman di successo che applica una competitività da Gordon Gekko alla gestione del tran tran di famiglia. Celeste nasconde un segreto torbido dietro all’appassionato matrimonio con un uomo più giovane di lei (Alexander Skarsgard). Jane, mamma single e squattrinata, appena arrivata in città e finita sotto l’ala protettiva di Madeleine, ha un passato violento – «una Prius scassata posteggiata di fronte a Barneys», dice «il coro».
Nell’orbita di queste donne, gli uomini – mariti, amanti ed ex, presumibilmente successi della tech industry- condividono una qualità passivo/aggressiva. Sfogo di questa miscela ad alto potenziale esplosivo sono i bambini, soffocati di attenzioni, nevrosi e complessi. «Ha presente il concetto di genitori elicottero?», dice un signore al commissario di polizia.

La scintilla del dramma scatta alla soglia di una scuola elementare privata, quando la figlia di Renata, Amabella, accusa il bambino di Jane, Ziggy, di aver cercato di strozzarla. Ma i germi di questo Katrina in un bicchier d’acqua sono stati covati in anni di segreti, gelosie, insicurezze, traumi, frustrazioni… Grandi piccole bugie, poco originali, coltivate davanti al fuoco del caminetto e a calici di vino rosso, scoppi d’ira repressa, desideri negati, in momenti di sesso frettoloso e irrisolto.
Puntando soprattutto sul lavoro sfumatissimo degli attori, e su una mise en scene discreta, poco fiammeggiante, dagli ingredienti di una satira sociale tra pulp e kitch, Big Little Lies ricava un dramma sorprendentemente avvolgente, con un occhio generoso nei confronti dei personaggi. Alla regia è il canadese Jean Marc Vallée.