Consacrata dall’arcivescovo Amerigo Corsini il 19 aprile del 1422 la chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, Giorgio Vasari ci dà conto di un affresco che conservava memoria di quella cerimonia. Fu incaricato dell’esecuzione Masaccio, poco più che ventenne, che «di terra verde dipinse, di chiaro e scuro, sopra la porta che va in convento, dentro nel chiostro, tutta la sagra come ella fu». L’affresco de La Sagra, fu distrutto negli anni tra 1598 e 1600. Vasari testimonia come Masaccio «vi ritrasse infinito numero di cittadini in mantello et in cappuccio, che vanno dietro a la processione» che si snoda nella piazza antistante la chiesa. Tra gli altri Donatello e Brunelleschi «in zoccoli», e Masolino da Panicale con il quale, proprio al Carmine, avrebbe di lì a poco seguitato l’opera di decorazione della Cappella Brancacci. Vasari ci elenca i nomi di alcuni tra quei cittadini eminenti e ci informa che Masaccio «non solo vi ritrasse i gentiluomini sopra detti di naturale, ma anco la porta del convento et il portinaio con le chiavi in mano». Come a dire: non solo i personaggi, ma le situazioni nelle quali essi agiscono, restituite nei gesti e nei modi dell’esistere quotidiano.

Del perduto affresco, in un disegno ora all’Albertina di Vienna, Michelangelo riproduce un gruppo di quattro partecipanti al corteo uno dei quali è un secondo frate, forse il padre guardiano, con le chiavi che gli pendono dalla cintola.

Quando si voglia dar conto di Masaccio al Carmine, è difficile allontanarsi dalla pagina del Vasari che, anche de La Sagra perduta, ci ha lasciato una ammirata descrizione dove mette in evidenza la acquisizione in pittura di una nuova percezione dello spazio secondo i principi della prospettiva, «avendo Masaccio saputo mettere tanto bene in sul piano di quella piazza a cinque e sei per fila, l’ordinanza di quelle genti che vanno diminuendo con proporzione e giudizio secondo la veduta dell’occhio, che è proprio una maraviglia; e massimamente che vi si conosce come se fussero vivi, la discrezione che egli ebbe in far quegl’uomini non tutti d’una misura, ma con una certa osservanza che distingue quelli che sono piccoli e grossi, dai grandi e sottili».

La ‘naturalità’ dello spazio percorso da personaggi dipinti «come se fussero vivi», in atteggiamenti, gesti, sguardi tal quali attorno a noi ogni giorno e da ciascuno di noi ogni giorno assunti, Masaccio raffigura negli affreschi della cappella Brancacci.
Osserviamo Il tributo ove si illustra il passo del Vangelo di Matteo (XVII, 23) che narra della richiesta d’un gabelliere a Cristo del consueto pagamento di due dramme per entrare con i suoi apostoli nella città di Cafarnao e di come Cristo si volga a Pietro: che getti l’amo, e apra la bocca del primo pesce che verrà su, vi troverà la moneta per pagare il tributo.

Si conviene che Masaccio abbia realizzato le figure degli apostoli disposte attorno a Cristo riproducendo, e massime nelle fisionomie dei volti, i tratti di uomini vivi di fronte a lui, che aveva davanti agli occhi e ritraeva, ‘vivi’, una volta per sempre, in effigie, nel «rilievo di tante teste diverse, barbate, glabre, brune, canute» come ce le indica Roberto Longhi ad una ad una. Donde quella vivezza, la naturalezza delle posture e dei gesti. Come non stupire di fronte a quel san Pietro accoccolato, tiratasi la veste oltre le ginocchia, appoggiata la lenza, che recupera, le mani ad allargarla, nella bocca del pesce la moneta. Il miracolo davanti a Cafarnao come accaduto sul greto dell’Arno, ove trascorre una atmosfera feriale di quotidiani lavori e traffici, con garzoni stretti parenti del gabelliere a svolgere le incombenze loro un giorno dopo l’altro.

Nel Tributo Masaccio, secondo Vasari, si ritrae come uno degli apostoli. È autorizzato a ritrarre sé medesimo, infatti, alla stessa stregua degli altri modelli che egli ha messo in posa. Impersona un ruolo tra i protagonisti dell’episodio che viene illustrando. Entra nel racconto. Dall’impalcatura ove dipinge quella parete, trasferisce la sua presenza nel luogo e nel tempo di quel giorno, a Cafarnao, accanto a san Pietro, accosto a Gesù.