«Gli irlandesi hanno una certa facilità, non tanto con l’uso dell’irlandese quanto dell’inglese, ed è strano che in una colonia britannica amministrata abbastanza male dal sistema imperiale sia nata una letteratura, non solo di un livello molto più alto di quel che sia mai stato prodotto prima, ma capace di collegare la questione dell’espressione linguistica alla politica». Questo diceva Seamus Deane in un convegno romano organizzato da Giorgio Melchiori nel 1982, per il centenario della nascita di Joyce.

FU TRA I PRIMI, il grande critico scomparso il 12 maggio – giorno della morte del socialista James Connolly, fucilato dagli inglesi dopo la Rivolta di Pasqua del 1916 – a porre la questione linguistica e quella politica sullo stesso piano. Come a ribadire che il mondo (world) esiste solo perché lo rappresentiamo con la parola (word) – e la differenza tra i due lemmi è una semplice consonante: non a caso la «L» di Language.

Seamus Deane era consapevole della forza della parola, e l’aveva dimostrato in poesia e nella narrativa – il suo Le parole della notte (Feltrinelli) è tra i libri più profondi e toccanti della letteratura irlandese degli ultimi decenni. Ma anche nelle opere di critica, che hanno plasmato il lavoro di centinaia di studiosi in tutto il mondo, opere tese a far comprendere che lo statuto di una popolazione soggetta a colonizzazione, ne evidenzia sempre una marcata différence.

Deane nasce a Derry, in Irlanda del Nord, nel 1940. Studia dapprima al St Columb’s College, dove inizia l’amicizia di una vita con Seamus Heaney. Inizia il percorso universitario alla Queen’s di Belfast per completarlo a Cambridge con un dottorato sulla ricezione di pensatori dell’illuminismo francese in Inghilterra. Di lì partirà una fulminante carriera universitaria, spesa tra Berkeley, lo University College Dublin (alma mater di James Joyce), e poi la University of Notre Dame.

NEL FRATTEMPO, in Irlanda aveva dato vita, assieme al drammaturgo Brian Friel, all’attore Stephen Rea e ad altri, a un progetto culturale ambiziosissimo e tuttora considerato un turning point negli Irish Studies contemporanei: la compagnia Field Day che presto si trasformerà in un laboratorio culturale di importanza cruciale. Da questa nasceranno i primi tre volumi della Field Day Anthology of Irish Writing da lui direttamente curati, seguiti da altri due volumi incentrati sulla scrittura femminile, ma a cura di altri.
Sempre in veste di coordinatore di progetti di ampio respiro, va ricordato il suo ruolo di General Editor delle opere di Joyce per la Penguin – Deane ha curato personalmente il Finnegans Wake – progetto a cui si deve una decisa sterzata di interesse verso la matrice irlandese negli studi sul grande scrittore.

La carriera di Seamus Deane ha coinciso con il tentativo riuscito di restituire una dimensione Irish a tanti autori dapprima considerati erroneamente parte del canone britannico; e il fatto di provenire, non dalla Repubblica, ma dal Nord, da Derry, una delle città più calde negli anni del conflitto, ha aggiunto rilievo e un senso di finalità alla sua battaglia culturale.

DEL SUO LEGAME con la città che fu scenario del Bloody Sunday e di altri massacri, parla il Presidente irlandese Higgins: «A Derry lascia l’ineguagliabile eredità di una vita, la scrittura, le preoccupazioni, la disperazione e la speranza che ha condiviso con la sua gente, e a cui fornisce risposte gran parte della sua opera».

Per Declan Kiberd, critico e sodale di Seamus Deane, «la sua opera reggerà alla prova del tempo. Le poesie e il romanzo Le parole della notte descrivono il mondo ingiusto e crudele in cui gli è capitato di crescere, e la sua scrittura è divenuta un modo alternativo di prendere il potere: La disoccupazione nelle nostre ossa / che erutta sulle nostre mani come pietra / Il pensiero della violenza un sollievo / Il fatto della violenza un’angosci».

Kiberd ritiene giustamente la sua opera critica carica di «un’indignazione swiftiana» che a suo modo diviene «una protesta contro le malformazioni della società e della vita personale». Storture, però, che non gli hanno sottratto un senso dell’umorismo, riuscendo sempre a trovare sfogo in quella che è una sorta di «commedia ingiuriosa accompagnata da una vigile dolcezza».
Deane è stato per l’Irlanda quel che Edward Said è stato per la Palestina: un intellettuale coraggioso, mai lontano dall’agone politico, uno strenuo propugnatore del dovere degli intellettuali di scendere in campo, di sporcarsi le mani; e, quando capita, di cambiare la storia.