Tradurre è sempre una sfida: ogni libro, ogni autore, ogni voce pone chi traduce nella condizione di doversi calare in qualcosa di diverso da se stesso, vestire i pensieri e le parole di qualcun altro. In virtù della responsabilità che la traduzione sempre comporta e del suo incommensurabile valore, ci si aspetterebbe che il ruolo del traduttore fosse riconosciuto, e non solo in ambito culturale. Bene, non è affatto così.
Nel nostro Paese, il reddito medio di un traduttore letterario raggiunge a fatica i 15 mila euro lordi l’anno, poco più di mille euro lordi al mese. Senza alcun tipo di previdenza sociale: non abbiamo nessun diritto di ammalarci né di invecchiare. E, con questi redditi, rimediare con polizze private è pressoché impossibile.

ANCHE PER CHI ha una combinazione linguistica tra le più fortunate come la mia – svedese di nascita, italiana di adozione, traduttrice di professione e, attualmente, al lavoro sulla nuova edizione di Pippi Calzelunghe – la vera sfida non è quindi solo saper affrontare ogni testo nella sua peculiarità, mettendo in campo le più svariate competenze, ma anche far quadrare i conti e arrivare a fine mese. L’Italia, abbiamo appreso negli ultimi giorni, si conferma come uno dei paesi europei in cui si legge meno. Invece di investire nelle future generazioni attraverso la promozione della lettura e dell’apertura culturale, però, il nostro paese non arriva a un decimo di quanto investono altre nazioni. Pur sottolineando che anche qui si sta cominciando a finanziare la traduzione della letteratura nazionale verso le lingue straniere, fatto senza dubbio importantissimo, «Strade» – sindacato traduttori editoriali – sta chiedendo alle istituzioni di introdurre un sostegno anche alle traduzioni verso l’italiano e alla formazione permanente dei professionisti, spesso costretti a spendere cifre astronomiche per corsi che li porteranno a guadagnare uno stipendio da fame.

Nei paesi scandinavi esistono fondi riservati alla letteratura, usati per finanziare la traduzione, le residenze per traduttori, i viaggi di lavoro e la formazione permanente. E se la letteratura nordica è lentamente sgusciata fuori dalla sua nicchia per entrare nelle case di moltissimi lettori, si deve in primo luogo ai gialli e ai libri per bambini. Proprio la letteratura per ragazzi svolge un ruolo cruciale di mediazione di temi come la morte e la sessualità, che in Italia sono rimasti tabù per lungo tempo mentre nei paesi scandinavi vengono affrontati nell’unico modo possibile: con naturalezza.

Come ho potuto constatare traducendo Katitzi, (storia di una bambina rom nella Svezia degli anni Quaranta), Ci si vede all’Obse (le vicende di Annika, dodici anni, che scorrazza per la Stoccolma degli anni Ottanta) e Girls (la vita di tre ragazze che, alle prese con le difficoltà di tutti gli adolescenti, sfidano gli sguardi maschili), solo per citare tre opere di autori svedesi diversi, le letterature di altri paesi aprono orizzonti sconfinati. Soprattutto quando si rivolgono ai più giovani. Per citare Astrid Lindgren, «i bambini hanno una prodigiosa capacità di immedesimazione, sanno vivere le cose e le situazioni più insolite, se ad aiutarli c’è un bravo traduttore, e la loro immaginazione dà il cambio al traduttore, quando questi rimane senza fiato».

LA LETTERATURA in traduzione è una finestra sul mondo, il cui vetro per metà riflette noi stessi e per metà ci mostra gli altri, sovrapponendo le immagini per farci capire che in fondo non c’è poi molta differenza tra gli esseri umani. I libri per l’infanzia, lungi dal plasmare identità, sono invece fondamentali perché chi abita il mondo di domani venga incoraggiato al pensiero libero. Senza la traduzione, la sfida più grande di questo nuovo millennio – abbattere i muri ideologici per riuscire a convivere senza distruggere il pianeta – sarebbe pressoché insormontabile.

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Nessuna tutela e pagati a cottimo

La percentuale dei libri tradotti in italiano è troppo bassa, altrettanto i compensi riconosciuti ai traduttori editoriali. Comincia così il comunicato stampa diffuso da Strade (nata nel 2012 come sezione traduttori editoriali di Slc – Cgil) insieme all’associazione StradeLab che a Roma, nell’ambito di Più libri più liberi, ha organizzato il tavolo per discutere delle questioni più urgenti. Secondo il rapporto Aie 2019 solo il 13,5% di tutto il pubblicato è relativo a libri in traduzione, molto meno rispetto agli anni Novanta quando la percentuale era al 25%, rimasta pressoché invariata fino al 2003. Il dato è proporzionale ai compensi molto bassi a cui sono destinati i traduttori, sia pure con profili di altissima formazione ed esperienza pluridecennale. Compensi orari che si aggirano tra i 5 e i 13 euro, pagati a cottimo, niente contributi previdenziali, nessuna royalty, in Italia chi traduce non ha alcun fondo di sostegno – al contrario di quanto accade negli altri paesi europei. L’84% della categoria professionale è composta da donne, con compensi ancora più bassi dei freelance uomini. Per info: www.traduttoristrade.it