Alla fine del pomeriggio, quando sta per iniziare la riunione dei deputati Pd per discutere di legge elettorale, ma dove la minoranza ha annunciato «fuochi artificiali», Pier Luigi Bersani passa per il Transatlantico un’ultima volta, giusto il tempo di dire ai cronisti «Niente, nessuna novità». È stata una giornata di trattative fitte, conciliaboli, incontri bilaterali trilaterali e assemblee di corrente e sottocorrente. Domani sarà lo stesso. Obiettivo scongiurare la scissione della minoranza, minacciata annunciata e riannunciata. Ma alla fine dell’interminabile andirivieni resta il dubbio: ma Renzi vuole davvero fermare l’ala sinistra del suo partito sulla soglia dell’uscio. O non preferisce, come riferiscono i suoi «falchi», levarsela una buona volta di torno?

In mattinata il presidente della Puglia Michele Emiliano fa roboante ingresso a Montecitorio, scortato dai dioscuri pugliesi Francesco Boccia e Dario Ginefra. Lorenzo Guerini lo intercetta, la parte il primo conciliabolo. Sulle agenzie c’è un documento comune dei tre – dicasi tre – candidati della minoranza, Speranza Rossi e lo stesso Emiliano. Hanno trasformato un’iniziativa già fissata a Roma dal presidente della Toscana per il lancio della sua associazione («Democraticisocialisti», la sigla è Ds ma è anche il nome del gruppo a Bruxelles, prendere nota) in un’iniziativa unitaria. Invitati anche gli scissionisti di Sinistra italiana. Ma è un appuntamento per idem: l’ultimo appello ai militanti prima dell’assemblea nazionale di domenica per impedire, scrivono, «una deriva dagli sviluppi irreparabili». Le richieste: «Sostegno al governo sino alla sua scadenza naturale, congresso senza forzature e preceduto da una conferenza programmatica», già proposta dal ministro Andrea Orlando. E già respinta da Renzi. C’è anche la richiesta di tenere il congresso dopo le amministrative. Guerini offre e a Emiliano il congresso ai primi di maggio, anziché l’8 aprile. Ci sarebbe il tempo della famosa conferenza programmatica.

Nel frattempo Orlando riunisce alla camera la sua corrente, i Giovani turchi insieme all’altro leader Matteo Orfini. Il presidente del partito dalle pagine di Repubblica pronuncia con un altolà preventivo al compagno ministro ’sospettato’ di volersi lanciare nella corsa contro Renzi attraverso la mano tesa ai bersaniani. Orfini boccia la «conferenza». Ma soprattutto pronuncia una sentenza sferzante su di lui: «Sarebbe inconcepibile se diventasse il candidato di Bersani e D’Alema». Parole che alcuni considerano più renziste di Renzi. C’è chi dice che così «gli ha appioppato lo stigma di candidato del nemico numero uno», chi fa notare che «proprio lui che è stato dalemiano, a differenza di Andrea». Chi lamenta che «così non parla da presidente, piuttosto dovrebbe si preoccupi di spiegare chi gestirà il congresso a norma di statuto», visto che il segretario ormai di fatto è dimissionario.

Alla riunione Orfini finisce in minoranza. Chi fa i conti dice che con Orlando sono in 37 contro 11. Ma i Giovani turchi hanno – dicono di avere – un rispetto quasi feticistico per partito, non si contano e dalla riunione escono con «un documento di sintesi». Che sposa la linea Orlando: «Abbiamo bisogno di un percorso largo e aperto, che ci permetta di ridefinire il progetto del Pd coinvolgendo militanti, elettori, cittadini, intellettuali, forze economiche e sociali. La proposta di un confronto programmatico, nella fase iniziale del percorso congressuale, ci sembra utile e condivisibile per ricostruire un perimetro condiviso prima di avviare il processo di scelta della leadership e per evitare derive scissioniste». All’uscita Daniele Marantelli spiega il senso del documento, che del resto già circola dal giorno prima: «È la via maestra per scongiurare divisioni e scissioni. Sembrava una posizione minoritaria, ma, come tutte le idee di buon senso, nelle ultime ore, pur con modalità diverse, ha fatto breccia».

In effetti in giornata piovono apprezzamenti per il ’lodo Orlando’. Nicola Zingaretti fa un appello all’unità, Emiliano si dice interessato, Piero Fassino e Maurizio Martina rilanciano «che la Convenzione nazionale», la prima fase del congresso dopo i congressi di circolo, «divenga pienamente Convenzione Programmatica».

Il significato concreto di queste formule d’antan («conferenza programmatica», «convenzione») e soprattutto il loro svolgimento per ora non importa. Si tratta di ’segnali’ di apertura alla minoranza. E messaggi a Renzi: per fargli rallentare una corsa vissuta come l’ultima spinta a chi se ne vuole andare. Solo in serata Orlando riesce a scherzare, dopo due giorni di graticola (da quando si è pubblicamente smarcato da Renzi): «Le correnti non si scindono, si riarticolano». Insomma ha vinto lui. Quanto alla sua candidatura si vedrà. C’è chi assicura che si saprà domenica. Per lui l’argomento «non è all’ordine del giorno».
Ma tutto questo lavorìo per evitare la scissione interessa davvero Renzi? Certo è che per ora non è abbastanza per far ingranare la retromarcia alla minoranza. «Renzi ha deciso di tirare dritto», dicono. Davide Zoggia si dichiara sicuro di uscire «al 70 per cento». Per Emiliano c’è ancora «un tenue filo di speranza» ma i segnali sono «assolutamente insufficienti». Saranno comunque tutti presenti all’assemblea di domenica. «Ma non vuol dire che la scissione viene esclusa».