Mentre tra Atene e Londra scoppia l’ennesima «crisi diplomatica» a causa della mai sopita diatriba sul ritorno in Grecia dei Marmi del Partenone, conservati dal 1816 al British Museum, Roma ospita quattro frammenti dei «fregi della discordia». Il 24 novembre si è infatti aperta ai Musei Capitolini -Villa Caffarelli la mostra Fidia, prima esposizione monografica dedicata al celebre artista di età classica. Promossa da Roma Capitale e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e curata da Claudio Parisi Presicce con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura (sponsor: Bulgari), la rassegna consta di sei sezioni. Nella terza, intitolata al Partenone e alla colossale statua crisoelefantina di Atena Parthenos (438-437 a.C.), viene approfondita l’attività dello scultore ad Atene e in particolare sull’Acropoli.

È lì che, per volere di Pericle, Fidia assunse il ruolo di episkopos ovvero sovrintendente del cantiere del Partenone. A rappresentare il genio e la maestria di Fidia nella progettazione dell’apparato decorativo del tempio, ecco dunque il frammento con cavalieri e quello con uomini barbati appartenenti al fregio settentrionale del Partenone (447-438 a.C.), entrambi in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove sono arrivati dopo varie peripezie, iniziate con la spoliazione del tempio da parte del doge veneziano Morosini (colui che nel 1867 fece sparare cannonate sulla Rocca sacra).

Dal Museo dell’Acropoli provengono invece un frammento dal fregio nord del Partenone con la raffigurazione di un gioco atletico con i carri che si svolgeva durante le festività in onore di Atena e un frammento dal fregio sud con scena dalla processione delle Panatenaiche. Tra le opere presentate c’è anche il Codice Hamilton 254, manoscritto quattrocentesco contenente la prima immagine del Partenone arrivata in Europa (uno schizzo eseguito dall’umanista Ciriaco de’ Pizzicolli di Ancona), concesso in prestito dalla Biblioteca Statale di Berlino per sole 8 settimane. Significativo anche il prestito del cosiddetto Taccuino Carrey (1674) dalla Biblioteca nazionale francese, nel quale è riprodotta la decorazione del Partenone prima dell’esplosione del 1687.

Ci saremmo aspettati che, nel pieno di una battaglia per la riunificazione dei marmi – non più combattuta per le vie legali ma attraverso la strada, ugualmente animosa, della diplomazia – i prestiti concessi da Atene e dall’Austria favorissero una riflessione sulla decolonizzazione dei cosiddetti musei universali. In una sede neutrale, le ragioni dei greci per la restituzione dei Marmi del Partenone devastati e sottratti all’Ellade da Lord Elgin avrebbero potuto sensibilizzare i visitatori su un tema di grande attualità su scala internazionale, nonché promuovere un dibattito fra gli studiosi. I quali, invece, si limitano – nei pannelli e nel catalogo dell’esposizione – a disquisire di dettagli tecnici, dimostrando che, al di là della propaganda politica, archeologia e società contemporanea faticano ad incontrarsi.

Così, il British Museum può continuare a respingere le argomentazioni ben poco culturali dei suoi politici allo sbaraglio e permettersi persino di prestare ai Capitolini lo scudo Strangford (III secolo d.C.), riproduzione in versione ridotta dello scudo dell’Atena Parthenos di Fidia, il quale non protegge più neppure dagli sberleffi.