Confrontarsi con Moby Dick e con l’immaginario furioso, rigenerativo e mortifero che abita fra le pagine del romanzo, sarebbe stato compito titanico, ancora più di quello assegnato da Melville al capitano Achab. E allora, un artista raffinato come Alessandro Sanna sceglie liberamente di rappresentare l’impeto degli elementi e gli incontri fatali con il destino attraverso un turbinìo di movimenti dei personaggi, quasi una danza estatica e macabra, che origina sulla terra con lupi e uomini (ombre di spiriti malevoli) per poi inabissarsi nell’oceano, dove battaglie ancestrali scuotono gli abissi e la barca di Achab subisce metamorfosi animalesche per poi tornare in superficie, riacquistando la propria identità. Nessuna parola serve a corredo della potenza visiva in questo silent book (Moby Dick di Alessandro Sanna, Rizzoli, pp. 68, euro 20), che si ispira al celebre romanzo pubblicato per la prima volta nel 1851 e che vede, al suo principio, una poetica nota di Giorgio Fontana. È solo una pausa sospensiva e meditativa prima del tuffo «primordiale», un saluto a chi si immerge nello strepitìo della lotta per la sopravvivenza «allestita» dai colori delle tavole di Sanna (che con Rizzoli aveva già pubblicato Fiume lento. Un viaggio lungo il Po).
A un’altra opera capitale della letteratura – questa volta italiana e rinascimentale – come l’ariostesco Orlando furioso si ispira anche la Leonessa di Dordona, graphic novel con Enrico Orlando alla scrittura e Gaia Cardinali per i disegni (Tunué, pp.152, euro 17,50) che in una atmosfera che gronda fantasy e irrequieti colpi di scena ripercorre le gesta di Bradamante, guerriera valorosa e paladina di Francia. La storia poi la conosciamo: si innamora del prode saraceno Ruggero, intrecciando campi di battaglia e passionali struggimenti.
Muove sempre da una trama nota – la fiaba di Le Petit Chaperon Rouge di Perrault – per addentrarsi in una divertente variazione l’albo di Agostini Traini Il berretto rosso pubblicato dalla casa editrice Il Castoro (pp. 64, euro 13,50). Certo, dopo le splendide rivisitazioni di Munari è difficile reinventarsi la storia della bambina nel bosco e del suo incontro con il lupo cattivo, ma Traini sa giocare magistralmente con l’humor e ci consegna una ragazzina impertinente (come, in fondo, sua nonna che non disdegna di attraversare il cielo con il paracadute, cadendo rovinosamente in un laghetto ghiacciato) che tiene testa alla «belva». Un lupo che in realtà più che mangiarsi Gelsomina (questo il nome della nuova «Cappuccetto rosso») ambisce a impossessarsi del suo berretto per far colpo sulla sua principessa.